Il dirigente, in quanto lavoratore subordinato, ha nei confronti del proprio datore di lavoro una responsabilità contrattuale (responsabilità interna) che gli deriva dalla legge, dal contratto collettivo e dal contratto individuale di lavoro. Egli deve eseguire la prestazione lavorativa con correttezza e buona fede ed è soggetto agli obblighi di fedeltà e diligenza, come disposto dagli artt. 2104 e 2105 del codice civile.
Impegno verso terzi
Nell’esecuzione delle sue funzioni, però, il dirigente svolge un’attività che non ha rilevanza solamente interna, cioè solo nei confronti del proprio datore di lavoro. Spesso, infatti, soprattutto se munito di procura, impegna la società nei confronti di terzi (i soci, lo stato, i clienti, i fornitori ecc.) e, comunque, per il suo ruolo può condizionare il buon funzionamento aziendale, incidendo sulla posizione di soggetti esterni. Un eventuale fatto illecito commesso nei confronti di terzi dà origine alla responsabilità extra-contrattuale (responsabilità esterna), responsabilità civile ma anche penale, se il fatto illecito costituisce reato. L’art. 23 del contratto collettivo dei dirigenti del terziario, così come le corrispondenti clausole degli altri contratti collettivi dei dirigenti rappresentati da Manageritalia (1 art. 23, ccnl 31/7/2013 dirigenti terziario; art. 24, ccnl 18/12/2013 dirigen- ti trasporti; art. 24, ccnl 17/11/2011 dirigenti alberghi Federalberghi; art. 23, ccnl 23/1/2014 dirigenti alberghi Aica; art. 18, ccnl 8/1/2014 dirigenti magazzini generali; art. 23, ccnl 31/10/2014 dirigenti agenzie marittime), disciplina espressa mente la responsabilità civile e penale per fatti illeciti compiuti dal dirigente verso terzi nell’esercizio della sua prestazione lavorativa. Scopo della norma contrattuale è quello di consentire al dirigente di lavorare con tranquillità, altrimenti si rischierebbe la “paralisi” aziendale se l’attività lavorativa potesse, anche solo potenzialmente, provocare un danno a terzi e ne dovesse rispondere personalmente il dirigente, secondo i principi giuridici generali.
No alle tutele per dolo o colpa grave
Proprio per la responsabilità contrattuale che il dirigente ha verso il proprio datore di lavoro, ricordiamo che le tutele e le garanzie disposte dall’art. 23 non si applicherebbero qualora, con sentenza passata in giudicato, fosse accertato il dolo o la colpa grave del dirigente. La norma del contratto collettivo innanzitutto evidenzia correttamente che, perché ci sia responsabilità del dirigente, deve essergli stato attribuito l’effettivo potere e la necessaria autonomia decisionale: la delega deve risultare da un atto formale, emanato da chi ne abbia il potere. La responsabilità civile e le conseguenze risarcitorie a favore di terzi danneggiati per fatti commessi dal dirigente nell’esercizio delle sue funzioni rimangono a carico del datore di lavoro.
Violazioni fiscali e tributarie
Se il fatto commesso costituisce reato, la responsabilità penale è sempre personale, come sancito dall’art. 27 della Costituzione e, quindi, le implicazioni sono più complesse, ma comunque disciplinate dall’art. 23 del contratto collettivo. Infatti, a tutela del dirigente, la norma dispone che il rinvio a giudizio del dirigente stesso non è di per sé giustificato motivo di licenziamento. Inoltre, in caso di procedimento penale, tutte le spese, comprese quelle di assistenza legale e gli eventuali oneri, sono a carico del datore di lavoro. A tal fine l’azienda può stipulare un’apposita polizza, sostenendone per intero il relativo onere. L’azienda ha facoltà di scelta del difensore ma il dirigente può farsi assistere anche da un legale di fiducia, con onere sempre a carico della società. In caso di privazione della libertà personale, al dirigente dovrà essere conservato il posto di lavoro e corrisposta la retribuzione. Infine, le tutele disposte dalla contrattazione collettiva dovranno essere applicate al dirigente anche dopo la cessazione del rapporto di lavoro, ovviamente per i fatti accaduti durante il rapporto stesso.