Reddito di cittadinanza?

Come contrastare la disoccupazione e combattere la povertà? Questa esigenza sta riportando in molti paesi l’attenzione sugli strumenti del reddito di cittadinanza. Esiste una discussione aperta tra le forze politiche e sindacali, ben presente anche in Italia, mentre alcuni paesi hanno provato a introdurre forme di sperimentazione.

Nei mesi scorsi in Svizzera è stato bocciato un referendum per l’introduzione anche in questo paese, che non ha certo particolari problemi di povertà o disoccupazione, del diritto al reddito di cittadinanza per i disoccupati. L’intervento svizzero, il cui costo era stato valutato in alcune decine di miliardi di euro, ha scatenato un forte dibattito e alla fine è stato bocciato dagli elettori.

La notizia più recente riguarda invece la Finlandia, un paese avanzato sia per le condizioni economiche sia per le politiche del lavoro, che intende sperimentare un intervento di reddito di cittadinanza per cinquemila disoccupati estratti a sorte. La misura secondo gli intenti del governo avrà carattere sperimentale in quanto è destinata a persone con basso reddito e capovolge il principio chiave delle politiche del lavoro europee, quello della condizionalità. Infatti non è previsto l’obbligo di accettare una proposta di nuovo lavoro e i cittadini non dovranno fornire spiegazioni o giustificazioni sul modo in cui spenderanno i soldi.

Una misura che può sembrare bizzarra, ma che si giustifica come misura assistenziale, per alleviare la povertà in un paese che ha poco più di duecentomila disoccupati e che in realtà è una misura sussidiaria e aggiuntiva alle misure di politica attiva obbligatoria per i disoccupati finnici. Si tratta quindi in realtà di un intervento di carattere assistenziale, per fasce di disoccupati deboli e volto a favorire l’accettazione di una nuova proposta di lavoro anche a basso reddito, infatti questo assegno che ammonta intorno alle 560 euro al mese viene mantenuto anche in caso di nuovo lavoro. La riflessione che può essere utile, a commento e spiegazione di questa scelta del governo finlandese, è che questa misura non introduce un elemento di assistenzialismo in un paese che ha una forte tradizione di politiche attive del lavoro, ma in realtà si tratta di un intervento di mera integrazione al reddito, volto anche a favorire l’accettazione da parte dei disoccupati di un impiego a basso reddito il cui importo viene integrato dall’assegno. È la contraddizione dei paesi a welfare avanzato e in cui l’indennità di disoccupazione è talmente alta da disincentivare l’accettazione di un nuovo lavoro non molto retribuito.

Non è certo questo l’ambito di riflessione sul reddito di cittadinanza che riguarda l’Italia e altri paesi mediterranei. Il reddito di cittadinanza propriamente detto è infatti una misura di integrazione al reddito, per disoccupati ma anche per i cosiddetti “poor worker”, i lavoratori a basso reddito, aggiuntiva e non sostituiva degli interventi di politica attiva. E infatti è presente come sperimentazione e in alcuni casi anche come istituto per specifici target in paesi che hanno un avanzato sistema di affiancamento e attivazione obbligatoria del disoccupato.

Un paese come l’Italia, che ha circa 9 milioni di persone in povertà e in cui almeno il trenta per cento di queste persone sono cittadini che lavorano, può avere bisogno di pensare a un intervento di questo tipo. L’istituzione del reddito di inclusione come misura strutturata prevista dal Governo dopo l’istituzione del Sia, il sostegno all’inclusione attiva, va in parte in questa direzione. Tuttavia il problema per l’Italia è un altro: in assenza di un sistema nazionale ed efficace di attivazione obbligatoria del disoccupato ed in presenza di un mercato del lavoro in cui l’incontro tra domanda e offerta in buona parte sfugge ai servizi per il lavoro diventa difficile ragionare su forme successive di reddito di cittadinanza, in quanto appare ancora debole la base di politica attiva su cui si collocano. Prima si attua davvero l’assegno di ricollocazione e poi ha senso parlare di redditi di cittadinanza per i lavoratori e disoccupati più poveri.

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