Consumi e consumatori: tra policrisi ed edonismo

Tra gli elementi che attualmente influenzano le scelte dei consumatori, il fattore prezzo ha un ruolo predominante e si inserisce in un contesto socio-economico in cui la sensazione più diffusa è quella di non riuscire a superare il valico di un periodo lungo e complesso iniziato con l’emergenza Covid. Se le preoccupazioni – soprattutto per le fasce di popolazione con reddito inferiore – crescono, si sta contestualmente sviluppando l’esigenza, da parte dei consumatori, di una nuova concezione della propria vita: una ricerca sempre maggiore di appagamento nel quotidiano, frutto della crescita del senso di precarietà complessiva. Ne parliamo con Massimo Sumberesi, head of marketing advice & b2b - BVA Doxa.

Cosa significa policrisi?
«La policrisi è sostanzialmente un periodo prolungato in cui, a una situazione di frattura rispetto a un momento precedente, si aggiungono e sovrappongono ulteriori scenari di complessità. La frattura iniziale è rappresentata dalla pandemia. A questa si è sommato il tema della guerra in Ucraina e, a seguire, la spinta inflazionistica con il problema dei prezzi. L’effetto generale della crisi sulle persone è di vivere uno stato di estrema incertezza e incapacità di capire come affrontare uno scenario così sfaccettato. Tale situazione porta, trasversalmente per tutte le generazioni, a vivere una sensazione di “iperaffaticamento” che spinge, da una parte, verso una ricerca sempre più attenta di soluzioni in grado di riequilibrare il rapporto tra lavoro e vita privata. Dall’altra, di soddisfare il bisogno di enjoyment, di tempo per sé, di sano edonismo necessario per evadere da un momento così difficile come quello caratterizzato dalla policrisi».

Come descriverebbe il consumatore di oggi?
«Ai brand oggi arriva una fortissima richiesta di easiness. “Ciò che è complicato non mi piace”, ovvero: ciò che è troppo difficile da acquisire non è vissuto come una sfida, ma come una scocciatura. Questi aspetti influiscono tantissimo sulle scelte dei consumatori: prodotti e servizi più accessibili, vicini e comprensibili diventano al contempo anche più appetibili. Le logiche dei brand devono quindi necessariamente prendere una direzione che porti chiarezza e una maggiore semplificazione: quest’ultima permette un appagamento immediato, più veloce, sia che si tratti di un prodotto di largo consumo, di un servizio bancario o di vacanze».

Cosa possono fare i brand per venire incontro a queste nuove esigenze del consumatore?
«Sicuramente c’è una richiesta molto netta e chiara di trasparenza, perché le persone sono diventate più sensibili alle problematiche di carattere etico. L’azienda che si comporta male viene immediatamente identificata e punita. Le persone sono molto veloci, non c’è tempo per riflettere. I brand sono chiamati a semplificare, a raccontarsi nel modo più vero e credibile possibile. Comportamenti scarsamente etici, o anche vagamente scorretti, soprattutto in relazione ai nuovi valori che riguardano la diversity o la gender equality, per citarne alcuni, vengono sanzionati con un repentino cambiamento dei comportamenti di consumo. L’offerta è talmente vasta che il consumatore non ha problemi di scelta e predilige chiaramente chi, secondo lui, ha dimostrato un comportamento più lineare, trasparente e coerente nel corso del tempo».

Un consumatore che chiede meno parole e più azioni?
«Nei paesi anglosassoni si sta affermando in modo sempre più incisivo il cosiddetto brand activism. In sostanza, il brand prende posizione su alcuni temi di grande rilevanza, con una sorta di assunzione di responsabilità dichiarata rispetto a quelle tematiche. È rischioso, ma utile al consumatore, perché nella massa indistinta dell’offerta di marche diverse, il fatto che un brand prenda posizione su alcuni aspetti permette al consumatore di decidere se sposare o meno quella determinata causa. Inoltre, sui mercati più maturi, l’innovazione sta segnando il passo, perché è sempre più difficile creare qualcosa di veramente nuovo e disruptive. Il brand activism è una novità che adotta un’ottica strategica diversa, mirando alla fidelizzazione del cliente e alla conquista più stabile di segmenti di consumatori attraverso le cause sostenute».

Che ruolo ha il digitale in questo contesto?
«Il digitale è innanzitutto uno strumento che le persone hanno a disposizione per poter esprimere sé stesse, esigenza di cui hanno assoluto bisogno. I social sono i canali perfetti per rappresentarsi nelle proprie abilità e per condividerle con altri. Se incanalata in maniera fruttuosa, questa spinta che arriva dal consumatore può avere dei riflessi positivi sul brand e sulla capacità di innovarsi, sintonizzando la propria proposizione su quelli che sono i veri desiderata e le aspettative delle persone».

I temi della sostenibilità, del cambiamento climatico e dell’ambiente stanno perdendo un pochino di smalto: influenzano ancora le scelte dei consumatori?
«Purtroppo su questo tema le persone sono estremamente disorientate perché non sanno qual è il loro mandato individuale. Cioè: cosa posso fare io come individuo? Questo punto interrogativo e irrisolto crea un senso di frustrazione che porta alla necessità di proiettare la responsabilità e le cause al di fuori della propria sfera personale. Se da una parte non c’è consapevolezza di quanto può fare il singolo individuo, dall’altro c’è la certezza del senso di urgenza, ovvero che la dilazione del problema non sembra più un’opzione praticabile. In questo quadro, l’individuo fatica ad accettare di accollarsi il costo maggiore che un prodotto più sostenibile può avere. Le scelte di consumo – lo rileviamo dalle numerose ricerche sviluppate da BVA Doxa – non sono guidate più di tanto da una valutazione sull’impatto ecologico, sulla sostenibilità di quel prodotto o sulla disponibilità a pagare di più per un prodotto più sostenibile. Non è quella la chiave per ingaggiare i consumatori, che non vogliono accollarsi l’incombenza di pagare per scelte, anche di carattere produttivo, fatte da grandi aziende o dalle istituzioni. Chi interagisce con il consumatore finale deve quindi impegnarsi in una logica di “small is beautiful”, di una sostenibilità a chilometro zero, ovvero piccoli progetti di breve periodo con un impatto diretto sulle comunità, dove le persone hanno un senso di tangibilità dell’intervento che l’azienda o il brand hanno promosso nel territorio di riferimento».

In questo contesto, internazionalismo e localismo sono conciliabili?
«Anche le grandi multinazionali devono rivedere le proprie logiche di posizionamento sul mercato. Se è vero che vogliono consolidare un legame con i consumatori, in qualche modo devono costruire dei legami con le comunità. Queste comunità possono essere di carattere virtuale, ma anche di tipo territoriale. Anche chi opera in un contesto internazionale non può ignorare l’impatto del proprio business a livello locale». 

Una volta c’era la televisione… adesso chi o che cosa influenza le scelte dei consumatori?
«Paradossalmente, viviamo un’epoca in cui la relazione è molto più importante di qualche tempo fa. Relazione intesa anche come endorsement. Oggi siamo estremamente attenti all’opinione e all’esperienza degli altri su un determinato prodotto o servizio. Di fronte allo scarso interesse generato dai proclami dei brand sulla bontà dei loro prodotti o servizi, il consumatore cerca un supporto di credibilità nelle persone più simili per gusti e tendenze. Quante persone scelgono un ristorante senza aver guardato almeno una recensione fatta da qualche altro avventore? Sono aspetti che stanno caratterizzando tantissimo il customer journey». 

Tre aggettivi per descrivere il consumatore di oggi?
«Edonista, disorientato, attento. Ovvero, un consumatore che ricerca la soddisfazione, purtroppo disorientato nelle sue scelte a causa del contesto socio-economico, ma comunque più vigile e informato rispetto al consumatore di trent’anni fa».

ANDAMENTO DEI CONSUMI

Una recente analisi realizzata dall’ufficio studi di Confcommercio sui consumi delle famiglie italiane mostra come il 2023 possa essere definito l’anno del ritorno alla normalità. L’evoluzione della spesa pro capite delle famiglie – che nel 2022 era ancora inferiore ai livelli pre-pandemia – quest’anno vede il ritorno alla normalità, soprattutto grazie alla spinta della filiera turistica che, rispetto allo scorso anno, registra aumenti consistenti per viaggi, vacanze e alberghi (+23,6%), servizi ricreativi e culturali (+9,7%), bar e ristoranti (+8%). In attesa della ripresa della manifattura esportatrice – spiega Confcommercio – sono questi i pilastri del terziario di mercato da cui può derivare una maggiore crescita economica, auspicabilmente sostenuta anche da riforme e investimenti del Pnrr.

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