Roma: aperto un albergo su dieci

Il punto sulla crisi del turismo a Roma con Tommaso Tanzilli, direttore di Federalberghi Roma

A Roma ci sono circa 1250 alberghi e in questi giorni ne sono aperti solo 150, con un tasso di occupazione medio delle camere del 15%. Molti sono chiusi da marzo. Alcuni si preparavano a riaprire tra settembre e ottobre ma le notizie degli ultimi giorni li stanno dissuadendo. “Piovono disdette, rischiamo che l’autunno sia come la primavera, un disastro totale. Siamo molto preoccupati per il futuro, per quello che potrebbe accadere quando finiranno cassa integrazione e divieto di licenziamento”.

Parla Tommaso Tanzilli, direttore di Federalberghi Roma, l’associazione territoriale dell’organizzazione degli imprenditori alberghieri che, nel suo ultimo rapporto, ha fotografato nei dettagli le tendenze della crisi generata dalla pandemia. Difficoltà che ripercuotono soprattutto sulle grandi città mentre le località di mare, di montagna e in generale le destinazioni “all’aria aperta” hanno tenuto, grazie ad un agosto “pieno di italiani”.


“A Roma le perdite superano l’80%, ci sono alberghi che hanno chiuso a marzo e non hanno mai riaperto – spiega Tanzilli – Il paradosso è che avevamo iniziato l’anno registrando i dati migliori dal 2012, con percentuali di occupazione delle camere record e buone tariffe. Quello che accade ha effetti a cascata su filiere produttive che si estendono ben oltre l’indotto turistico primario: si parla sempre di ristorazione e trasporti, servizi di accompagnamento e musei ma non si considera, per esempio, il lavoro delle lavanderie industriali, che lavorano al 90% con ristoranti e alberghi”.



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“Alberghi e ristoranti funzionano con grandi macchinari che devono essere progettati, costruiti, manutenuti e gestiti: per migliaia di imprese e di lavoratori di ogni settore la ricettività è il principale motore delle attività produttive – continua Tanzilli – la situazione che stiamo vivendo genera problemi enormi, sia in termini di occupazione, sia di mancato gettito”. Secondo le stime ogni anno le tasse di soggiorno turistico portano nelle casse di Roma Capitale tra i 120 e i 130 milioni di euro, a seconda delle presenze. Quest’anno ce ne saranno cento in meno del previsto.

Gli stranieri, che di solito sono tra il 70 e l’80% dei turisti delle grandi città, sono meno del 5%.

“Pagare lavoratori e fornitori, tenere aperto rispettando le normative sanitarie, fronteggiare nuovi problemi organizzativi, adattarsi al cambiamento, questa è la quotidianità di imprenditori e manager alberghieri. Il problema più immediato è la liquidità, soprattutto per chi è in locazione, le casse sono vuote. Il bonus turistico non sta funzionando, doveva essere formulato in un altro modo, perché così gli albergatori devono anticipare i costi e il lavoro. Anche per questo molti non vogliono aderire”.

Secondo Tanzilli gli italiani che hanno speso il bonus sono andati soprattutto al mare e montagna ma non nelle grandi città, negli alberghi del centro, dove peraltro la mancanza di turisti è aggravata dalla diffusione dello smart working, che limita buona parte degli spostamenti interurbani per motivi di lavoro: “ristoranti e bar, ma anche alberghi, beneficiavano dei flussi della tratta Roma-Milano, oggi molto rallentati. A Roma come a Milano, pesa inoltre la sospensione delle attività legate al business internazionale: convegni, fiere, equipaggi delle compagnie aeree, spettacoli, concerti, grandi eventi sportivi, il calcio, il Sei nazioni di rugby e gli Internazionali di tennis. È una crisi senza precedenti che richiede interventi mirati per superare l’inverno, sperando che con il 2021 l’incertezza finisca”.

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