La disinformazione sulle fonti di informazione

Lavoro in un istituto di ricerche di mercato e sociali da 13 anni. Come a tanti – forse un po’ di più per deformazione professionale – mi capita spesso di leggere la sintesi di ricerche con dati “incredibili”, a volte semplicemente sbagliati, a volte scritti volutamente in modo ambiguo. A volte, dispiace dirlo, i dati forniti sono frutto di ricerche che non meritano di essere chiamate con questo nome (campioni minimi o dalla struttura insensata, questionari formulati senza rispettare gli standard di qualità – ad esempio con domande tendenziose, senza prevedere risposte fondamentali per parte del campione intervistato ecc. – rappresentazioni grafiche fuorvianti o clamorosamente sbagliate); in questi anni non ci si è fatti mancare nulla: nemmeno una ricerca tecnicamente irrealizzabile (ma che qualcuno è riuscito a vendere e a realizzare, e qualcuno, purtroppo, ha acquistato).

Senza filtro
La questione diventa particolarmente delicata quando si tratta di dati che vengono resi pubblici attraverso i mezzi di informazione. Ci sono almeno due aspetti che turbano l’osservatore indipendente e imparziale: la produzione di dati non corretti di cui ho accennato, ma anche la loro diffusione senza filtro, senza alcun controllo da parte di tv, radio, giornali, periodici ecc. Non stiamo parlando delle – peraltro auspicabili – scelte giornalistiche di commentare, contestualizzare, sottoporre a replica da parte di altri attori (o, legittimamente, di non farlo); parliamo, invece, della mancata verifica della qualità (minima) dei dati, delle informazioni che vengono passate ai media e da questi diffuse.

Esempio di errori e orrori
Un po’ per ridere (ma nemmeno troppo) ricordiamo tre recentissimi casi: i media italiani ci informano che gli italiani che si distraggono con Facebook o altri social network durante l’orario di lavoro sono tantissimi; talmente tanti… da risultare più degli italiani che lavorano. E poi dicono che non si creano posti di lavoro…
In un altro caso i lavoratori non sono stati creati, ma distrutti: un primario quotidiano italiano riporta la notizia della perdita di quasi un milione di dirigenti in Italia in 5 anni. Ripeto: un milione; una quota che non è mai stata nemmeno lontanamente sfiorata dalla categoria professionale. Strano, no? forse ora i dirigenti italiani sono in numero negativo? O forse chi ha preso i dati da Eurostat non ha notato che c’era chiara indicazione del cambio di definizione della categoria proprio negli ultimi anni, che causa un cambio di valori (senza possibile confrontabilità).
Per finire, un esempio recentissimo (qualcuno ne avrà letto sul blog Crisi & Sviluppo di Manageritalia): 5 milioni di maschi italiani soffrono di eiaculazione precoce; la percentuale? 17% (cinque milioni su trenta milioni). Ebbene sì, sono stati presi in considerazione anche i bambini e gli ultraottantenni, a cui auguriamo il meglio, anche a livello sessuale, ma su cui nutriamo qualche dubbio in merito a tale statistica (si noti: il problema non è sbagliare il denominatore di una divisione, ma non rendersi conto che il dato percentuale è ben diverso da quello precedentemente diffuso sullo stesso argomento).

Il corto-circuito
Ma forse il caso più interessante degli ultimi mesi è rappresentato dal rapporto Censis. L’interesse sta nel fatto che i mezzi di informazioni lo hanno diffuso, pare senza troppi filtri, e che riguarda proprio l’informazione in Italia. Eppure i dubbi (di metodo, sui risultati, sull’interpretazione) non mancano. E qualche borbottio nel settore si può sentire.

Le parole contano
Qualche esempio può aiutare a capire. Una regola di base dei questionari – di ogni questionario, a qualunque livello, per ogni target, in ogni lingua – è l’assoluta chiarezza delle domande (devono essere comprensibili, immediate, interpretate nello stesso modo da tutti gli intervistati). In questo questionario ci troviamo di fronte a “diverse” fonti di informazione: “siti web di informazione”, “siti web dei telegiornali” (non dovrebbero essere considerati di informazione anche quelli?), “quotidiani online” (sono una cosa così diversa rispetto ai “siti web di informazione”?). Poi troviamo “giornali radio”, ma senza alcun altro riferimento al modo classico di fare informazione in radio (fuori da un breve programma di news e, al contrario, all’interno di contenitori anche di tutt’altro: a metà tra intrattenimento e informazione, in modo destrutturato e – anche per questo – coinvolgente).

Internet? Non è una fonte
E troviamo anche una possibile risposta che disorienta: “Motori di ricerca su internet”. Il fatto è che un motore di ricerca (almeno allo stato attuale) non fornisce informazioni ma collegamenti a siti che li possono fornire: non è una fonte, ma un modo per trovare possibili fonti; quello che andrebbe approfondito è quali sono le scelte che gli utenti fanno di fronte a una lista di risultati del motore di ricerca (se cerco “Isis Tunisi” poi scelgo un portale come Tiscali, un sito di informazione giornalistica che viene dal canale classico come RaiNews24, un quotidiano online come La Stampa, il blog di un illustre sconosciuto, o semplicemente il primo link che mi viene proposto?).
Ma forse dobbiamo fare un passo indietro per farne uno avanti: parliamo di informazione in modo generale, su qualunque argomento, anche non attuale? o di “news” di attualità (politica, economia, cronaca, sport, …)? o di cos’altro? Peccato, il comunicato stampa non ce lo fa sapere. E sui mezzi d’informazione non troviamo dettagli. Questo aspetto non è “di lana caprina”: le ricerche di molti istituti mostrano come non esista – per la singola persona – il mezzo o il mix di mezzi con cui ci si informa in generale; esiste, invece, una scelta “per argomento”: per l’attualità alcuni mezzi, per l’economia altri, per la cronaca altri ancora (magari in parte sovrapposti ai precedenti e in parte differenti); e se parliamo di salute tutto cambia di nuovo; per non parlare, poi, di quello che accade quando l’oggetto di informazione sono marche e prodotti. Insomma: “come ti informi?” ha sempre meno senso, mentre diventa fondamentale il “come ti informi su questo argomento?”.

I valori contano
A leggere bene i risultati, l’Italia procede a grandi passi verso un amore collettivo per i canali televisivi di informazione 24×7 (“Tv all news” nella terminologia scelta dal Censis): sono una fonte di informazione utilizzata dal 50,9% della popolazione 14-80enne. Un successo davvero incredibile per Sky (il canale “500” da poco anche su Digitale terrestre), per RaiNews24 e TGCom. Ecco, incredibile davvero.
Non male neppure il televideo: più di un terzo della popolazione lo utilizza (33,9%), non crolla tra i 14-29enni (27,8%) che nel resto del report sembrano appassionati a internet, sempre connessi, sempre social… ma al buon vecchio televideo non sanno rinunciare (come non rinunciano, nonostante le funzionalità degli smartphone, a ricevere sms informativi, magari a pagamento, 32,7%).
Se non si fosse capito, sono ironico. Ma non mi sto divertendo e non credo possa capitare a voi se riflettete su questi dati.
Probabilmente la questione è solo relativa a come viene posta la domanda (cambia tutto se chiediamo quali sono i mezzi di informazione usati almeno una volta all’anno, o almeno una volta al mese, o regolarmente). Ma è un “solo” davvero rilevante. A cosa serve produrre dati di questo genere? Chi li legge spesso prende decisioni importanti (per sé, per la comunità, per un’azienda ecc.): come pianificare i propri investimenti pubblicitari, come diffondere notizie di interesse generale, come influenzare l’elettorato. Se i dati non sono “di qualità”, quali sono le decisioni che vengono prese? che valore avranno queste decisioni?

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