Veneto: un’addizionale Irpef fuori luogo

I manager si oppongono all’addizionale per sanare gli errori della politica e con CIDA
ricorrono al TAR

L’addizionale Irpef deliberata per garantire i costi di completamento della costruzione della superstrada Pedemontana Veneta è l’esempio di come la politica consideri i cittadini sudditi e non paghi per le sue responsabilità.

La travagliata vicenda della costruzione della Superstrada Pedemontana Veneta (SPV) è un significativo esempio di come gli errori della politica spesso si traducano in vessazioni ai danni dei cittadini. Fino dall’agosto del 2001 lo Stato delegò alla Regione Veneto la competenza sulla realizzazione dell’opera. Dopo alterne vicende, tra cui una procedura d’infrazione da parte dell’Unione Europea ed infiniti ritardi, il costo dell’infrastruttura è lievitato a circa 3 miliardi di euro. Questo stratosferico aumento del budget necessario a finanziare i lavori è stato causato in primo luogo da previsioni errate e sottostimate del flusso di mobilità ed in secondo luogo da un insufficiente project financing a supporto dell’opera, che, nelle intenzioni della Regione, doveva consentire di far pagare la Superstrada attraverso i pedaggi solo agli utilizzatori.
La soluzione adottata dalla Regione è stata quella di stravolgere, quindi, questo solenne impegno per garantire il “riequilibrio finanziario” ed è stato deciso di addossare su tutti i cittadini veneti con un reddito superiore a 2.300 euro lordi mensili gli oneri necessari ad evitare l’attuale situazione di stallo. In soldoni questo si tradurrà in un balzello variabile mediamente da 200 a 1000 euro per l’anno 2018, che, sommandosi all’addizionale IRPEF ordinaria, comporterà un esborso complessivo da 700 a 2000 euro per i redditi tra 40.000 e 90.000 euro. In quest’assurda maniera, la Regione conta di rastrellare i circa 220 milioni di euro che serviranno per pagare la rata di ammortamento annuale del mutuo regionale a contributo in conto costruzione dell’opera stradale.
Contro quest’aumento addizionale IRPEF voluto dalla Regione, le associazioni dei manager aderenti a C.I.D.A (Confederazione Italiana Dirigenti e Alte professionalità) VENETO, hanno promosso un ricorso presso il TAR Regionale, con vasta eco sui media locali.
Si tratta di una forte azione giudiziaria di contrasto verso una misura fiscale di scopo chiaramente illegittima, oltre che iniqua, destinata per il prossimo anno a colpire ampie fasce di cittadini, soltanto a reddito I.R.P.E.F..
Lo Studio Legale Associato dell’avv. amministrativista Primo Michielan di Mogliano Veneto (TV), al quale si sono affidate le Associazioni dei dirigenti, ha contestato la delibera del Consiglio Regionale Veneto n. 44 del 29 marzo 2017 di aumento dell’addizionale I.R.P.E.F. sotto diversi profili di criticità, quali: la violazione dei principi fondamentali di eguaglianza tra persone fisiche e quelle giuridiche; di progressività dell’imposizione fiscale; di razionalità del sistema tributario nel suo complesso diversificato per tutti gli scaglioni di reddito, stabiliti dallo Stato e non solo per tre scaglioni, come fissato dalla Regione; nonché di economicità dell’azione amministrativa e di mancato accollo in capo alla concessionaria S.P.V. del rischio d’impresa.
Poiché questo aumento tributario è stato normato con la L.R. del 06.04.2017 n. 9, pure è stata sollevata l’incostituzionalità della tassa I.R.P.E.F. che, se dovesse essere inopinatamente applicata, costituirebbe un pericoloso precedente anche contro il divieto europeo dell’aiuto di Stato alle imprese private.
Sul piano del metodo è, inoltre, censurabile che, dopo aver disperso ricchezza, anziché crearla, la Regione non abbia sentito l’obbligo di effettuare almeno una consultazione preventiva delle parti sociali rappresentative di quei cittadini che intendeva tartassare. Gli amministratori pubblici devono comprendere che non si può promettere un’infrastruttura inizialmente finanziata dai privati, per poi farla pagare in corso di completamento ai cittadini. La buona politica è quella che valuta i progetti sulla base della loro fattibilità economico-finanziaria. Il project financing, se correttamente adottato, avrebbe dovuto minimizzare le risorse pubbliche, impegnate ora per oltre 915 milioni di euro come contributo pubblico e non far ricadere sul cittadino i costi degli errori iniziali della Regione che li amministra.

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