C’è stata l’era dell’avocado, poi è arrivato il matcha, ora è il momento del kombucha. Sì, perché questa bevanda fermentata a base di tè oggi è considerata una sorta di panacea. Tra i suoi (presunti) benefici si annoverano il miglioramento della digestione, la riduzione dei dolori articolari e il rafforzamento del sistema immunitario. Come sempre in questi casi, non mancano i detrattori che ne sottolineano i limiti, a partire dall’eccessivo contenuto di zucchero.
Al di là delle caratteristiche intrinseche, da cosa deriva il successo del kombucha?
Le motivazioni sono almeno tre:
- la comunicazione digital. Sui social è stata molto “sostenuta” dalle celebrities: personaggi del calibro di Zoe Kravitz, Lady Gaga e Kourtney Kardashian hanno più volte postato immagini in cui sono intenti a bere il kombucha. Ovviamente con annessi hashtag: #kombucha, #vegan, #probiotics, #healthy…;
- la distribuzione. La strategia retail è selettiva: il kombucha si trova nei negozi focalizzati sull’alimentazione naturale e nei supermercati bio. Anche nel fuoricasa si punta su locali di nicchia, spesso un po’ hipster, o su spazi iperspecializzati, come il Kombucha Bar – il primo in Italia – aperto a Bolzano;
- il prezzo. Una bottiglietta di kombucha costa tra i 3 e i 4 euro. In pratica tra i 7 e gli 8 euro al litro. Un prezzo non economico ma, nel contempo, accessibile. Il posizionamento perfetto affinché il consumatore pensi “allora deve essere davvero speciale… ma sì, mi concedo questo piccolo lusso!” .