Il fisco italiano penalizza il merito. Chi dichiara redditi elevati, come buona parte dei dirigenti, è tartassato. e negli ultimi 10 anni ha visto crescere il carico fiscale. Mentre altre categorie, come i percettori di rendite o di affitti, godono di trattamento agevolati.
In dieci anni i contribuenti italiani ad alto reddito, sopra i 120.000 euro lordi annui, sono cresciuti del 31% passando da 249.313 nel 2009 a 325.424 nel 2018. I “Paperoni” sono appena lo 0,8% dei contribuenti tricolore (oltre 41 milioni), percepiscono circa l’8% del reddito complessivo, ma versano ben il 16%, dell’intero carico Irpef nazionale.
Ciascun membro di questo club esclusivo subisce un vero e proprio salasso fiscale: in media oltre 79.000 euro annui, ovvero quasi 6.600 euro al mese.
Ad analizzare per la prima volta l’universo dei contribuenti italiani ad alto reddito è una ricerca di Elexia, network di avvocati e commercialisti che raggruppa 40 professionisti di Milano, Roma e Firenze. Dallo studio emergono non poche sorprese e molti paradossi.
Ogni dieci percettori di alti redditi, otto sono uomini e solo due donne. Fra i super-contribuenti 6 su 10 hanno un’età compresa fra 45 e 64 anni, ovvero si collocano nella fascia dei lavoratori senior. Il 30% ha più di 65 anni ed è costituto in prevalenza da pensionati. Oltre 30.000 contribuenti ad alto reddito, quasi il 10%, sono nella fascia di età fra i 25 e i 44 anni. Ma c’è anche un drappello di circa 190 giovanissimi sotto i 25 anni che dichiarano 300.000 euro di reddito lordo annuo.
Si tratta di imprenditori, dirigenti, professionisti, magistrati, medici e docenti universitari.
Su base territoriale in testa c’è la Lombardia con 130 super-contribuenti ogni 10.000 percettori di redditi. Seguono il Lazio (112), Il Trentino-Alto Adige (106), l’Emilia Romagna (92) e il Veneto (86). In coda Calabria (21), Basilicata (25) e Molise (30).
“La ricerca”, osserva Nicola Cinelli, managing partner di Elexia, “sfata un mito diffuso: i proventi dei super-contribuenti non derivano dai patrimoni, ma vengono da lavoro e pensioni, che rappresentano la fonte primaria per oltre l’80% dei soggetti. Non è corretto, quindi, identificare i percettori di alti redditi con i ricchi, cioè i possessori di grandi patrimoni, i cui proventi, per assurdo, godono invece di generose agevolazioni fiscali”.
Nel corso degli anni il Fisco si è accanito contro i super-contribuenti, inasprendo le aliquote. Nel 2002 a chi guadagnava 120.000 euro lordi annui si applicava una imposizione Irpef di 37.762 euro, pari a circa il 31,5%. Nel biennio successivo (2003-2004) c’è stato un alleggerimento, con il carico sceso a 37.086 euro (30,9%).
Poi un’escalation inarrestabile, culminata con il regime attuale, in vigore dal 2007. Ora la zavorra Irpef è balzata a 44.700 euro, oltre 7.000 euro in più rispetto all’inizio del secolo. In realtà il carico complessivo è ancora più elevato a causa delle addizionali comunali e regionali introdotte nel frattempo. Infine, dal 2020, a chi guadagna oltre 100.000 euro lordi annui, è stata ridotta la possibilità di dedurre dal reddito molte spese, riconosciute agli altri contribuenti. Fino ad azzerarsi sopra i 240.000 euro lordi annui.
Nel complesso, i contribuenti che superano i 120.000 euro di reddito concorrono a circa il 16% dell’imposta netta Irpef totale, contro l’11% circa di inizio decennio.
Un fardello che non trova eguali in Europa, rileva l’indagine Elexia. “Un raffronto a livello europeo non è semplice”, sottolinea Nicola Cinelli di Elexia, “perché i regimi fiscali sono molto diversi. In Francia, per esempio, l’imposizione è su base familiare e non personale. In generale si può stimare che i contribuenti italiani con redditi sopra 120.000 euro annui paghino dal 25 al 30 per cento in più rispetto ai loro omologhi negli altri Stati”.
L’indagine Elexia mette infatti in risalto alcune storture e contraddizioni del sistema tributario italiano.
Un reddito da lavoro, dipendente o autonomo o da pensione, di 120.000 euro lordi, per esempio, è assoggettato a circa 48.000 euro di Irpef, nazionale e locale, pari al 40%. Un vero salasso, a cui si aggiungono i contributi previdenziali e altri oneri.
Se si incassa lo stesso importo come dividendi o interessi, l’esborso si riduce a 31.200 euro, grazie all’aliquota fissa del 26%.
Ancora meglio per chi incassa 120.000 euro annui con l’affitto di abitazioni: grazie alla cedolare secca del 21%, sborsa soltanto 25.200 euro.
Chi incassa 120.000 euro come cedole di titoli di Stato subisce un prelievo di 15.000 euro, corrispondente all’aliquota fiscale del 12,5%.
Se lo stesso introito deriva invece come plusvalenza sulla vendita di un immobile, trascorsi cinque anni dall’acquisto o ricevuto in eredità, la tassazione è pari a zero.
Negli ultimi 20 anni il carico fiscale sui redditi medio-alti è cresciuto a dismisura, andando ben oltre il principio sancito dalla Costituzione, all’articolo 53, secondo cui: “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”.
In realtà, conclude l’analisi Elexia, la continua fame di risorse ha portato il Fisco a tartassare chi dichiara redditi medio-alti mortificando il merito e perdendo di vista qualsiasi criterio di equità e di progressività legato alla reale “capacità contributiva”.