In attesa di scoprire gli effetti economici della ripresa del turismo, nel secondo trimestre del 2022 in Italia abbiamo registrato una crescita del pil di 1 punto percentuale rispetto al periodo gennaio-marzo e del 4,6% rispetto allo stesso trimestre del 2021. Si tratta del sesto trimestre consecutivo di crescita per il nostro paese: dal rimbalzo successivo al lockdown non ci siamo più fermati e corriamo più velocemente dei partner europei, che di solito ci precedono. Gli economisti guardano ai dati macroeconomici con una certa sorpresa (in giugno l’occupazione ha registrato un incremento di 116mila lavoratori a tempo indeterminato e il tasso di occupazione ha toccato il massimo dal 1977) e si chiedono quali siano le determinanti di questa crescita sostenuta, se e quanto durerà e, soprattutto, quali eventi potrebbero minacciarla. Conflitti internazionali? Cambiamenti climatici? L’invasione dell’Ucraina da parte dell’esercito russo ha prodotto effetti dirompenti sul prezzo delle materie prime e su alcune catene di approvvigionamento. Per quanto riguarda il clima, alcuni economisti stimano che nello scenario in cui la temperatura media del pianeta aumentasse oltre i 2 gradi centigradi, il pil in Europa diminuirebbe del 7,7%. Il cambiamento in corso ha già prodotto un rallentamento della crescita delle 10 colture principali quali mais, riso, grano e il loro prezzo potrebbe crescere tra il 75 e il 90% entro il 2030 (1). La siccità della stagione appena conclusa ha provocato una riduzione consistente di tutte le produzioni agricole italiane.
Dalla consapevolezza ai richiami internazionali
A fare la differenza in futuro saranno la consapevolezza delle origini del cambiamento in atto e la determinazione della comunità internazionale a correggere la tendenza. Il dibattito sul contributo della nostra specie al cambiamento climatico è inquinato anche da editori che diffondono sistematicamente contenuti negazionisti: 10 di questi – da Breitbart a Russia Today – sarebbero responsabili del 69% delle interazioni su Facebook relativamente a contenuti che negano il cambiamento climatico (3). Sull’altro fronte, quello del dibattito scientifico basato su dati ed evidenze fornite dalla ricerca, non ci sono dubbi: il 99,5% degli scienziati del clima ritiene che il cambiamento climatico sia provocato dalla specie umana. L’Intergovernmental Panel on Climate Change è l’ente delle Nazioni Unite che analizza lo stato delle conoscenze scientifiche, tecniche e socio-economiche sul cambiamento climatico e nel rapporto pubblicato lo scorso aprile afferma che “il totale netto delle emissioni di gas serra di origine antropica ha continuato ad aumentare nel periodo 2010-2019, al pari delle emissioni cumulate nette di CO2 dal 1850. La media annua delle emissioni di gas serra nel periodo 2010-2019 è stata superiore a quella di qualsiasi decennio precedente, sebbene il tasso di crescita tra 2010 e 2019 sia risultato inferiore a quello registrato tra 2000 e 2009” (4).
Politiche innovative
Se su scala globale ci impegnassimo a invertire la tendenza del cambiamento climatico in corso potremmo individuare attività che si configurano come nuove opportunità economiche e quindi spazio per assicurare crescita non soltanto sostenibile – nel senso di compatibile con l’ambiente – ma addirittura funzionale alla salvaguardia dell’ambiente. Molte di queste opportunità sono già sotto i nostri occhi: energie rinnovabili, tecnologie per la mobilità, cattura e isolamento della CO2, tecnologie satellitari e digitali che rendano più efficienti le attività tradizionali, a partire dall’agricoltura (2). Del resto, il costo unitario dell’energia “verde” è diminuito costantemente dal 2010, anche grazie a politiche che hanno incentivato l’innovazione lungo l’intera filiera, dalla produzione alla distribuzione. Ma l’innovazione in generale può contribuire alla transizione ecologica, a partire dalla digitalizzazione. Altre opportunità sono ancora fuori dalla nostra capacità di intuirle ma presto emergeranno, come sempre è accaduto nei tornanti della Storia.
Superare le disuguaglianze a favore del pianeta
Gli esperti suggeriscono di attivarsi con un approccio complessivo che tenga conto di una pluralità di fattori e ribadiscono la validità dell’Agenda Onu 2030 con i suoi obiettivi per lo sviluppo sostenibile (o Sustainable Development Goals – SDG). Questi includono obiettivi di natura sociale e non soltanto ambientale, perché il cambiamento climatico ha un impatto negativo sull’equità e va contrastato anche intervenendo sulle disuguaglianze. Se non si risolvono le contraddizioni associate alla distribuzione di ricchezza e opportunità, ci saranno sempre popoli che reclameranno il diritto allo sfruttamento delle risorse naturali del pianeta per uscire dall’indigenza, a prescindere dall’impatto ambientale nel lungo termine, così come accaduto in Europa e America del Nord durante la rivoluzione industriale.
La sostenibilità conviene
La sostenibilità è quindi anche una questione di giustizia sociale, ma ciò che la rende plausibile come strategia concreta è una considerazione utilitaristica: la sostenibilità conviene. A capirlo precocemente è stato il mondo della finanza e da quando Larry Fink, amministratore delegato di Blackrock, ha indicato ai suoi stakeholder la strada che avrebbero preso gli investimenti del più consistente fondo del mondo a partire dal 2020, la mobilitazione delle imprese verso strategie fondate sui criteri ESG (Environment, Society, Governance) ha subito un’accelerazione senza precedenti. Le aziende usano i dati selezionati su questi criteri per dimostrare la loro sostenibilità e gli investitori li usano per valutare il rischio associato all’investimento in queste aziende. Esistono diversi modelli di reporting a disposizione delle aziende per definire il proprio framework di divulgazione dei dati e, di recente, è stato costituito l’International Sustainability Standards Board per assicurarne qualità e interpretabilità. Il 72% delle 250 aziende più grandi del mondo fa riferimento agli standard della Global Reporting Initiative (GRI), mentre 600 investitori che gestiscono complessivamente 110 trilioni di dollari fanno riferimento al Carbon Disclosure Project (CDP).
Benefici evidenti
Il rapporto tra performance d’impresa e programmi di sostenibilità è oggetto di numerosi studi, che sembrano convergere sull’ipotesi di una correlazione positiva. I benefici potenziali dell’adozione di progetti di business transformation orientati a migliorare la sostenibilità aziendale vanno dal miglioramento del senso di appartenenza dei dipendenti all’attrazione dei consumatori più giovani, dalla riduzione dei rischi fino alla conformità con le richieste delle aziende più grandi a valle della supply chain (5).
Invertire la rotta è possibile
La sfida è tanto ineludibile quanto difficile: non dobbiamo nasconderci gli ostacoli e non dobbiamo temere di ammettere errori e contraddizioni. Al tempo stesso, dobbiamo realizzare che i risultati concreti sono alla nostra portata, che lo sviluppo di un piano di sostenibilità richiede determinazione e qualche competenza specifica, ma non “rocket science”, che i framework di reporting disponibili sono numerosi e adattabili a ogni settore d’attività. Insomma, uomini e donne d’impresa possono fare la differenza e contribuire a invertire una tendenza che allo stato attuale renderebbe estremamente difficile la sopravvivenza della specie su questo pianeta.
(1) Carbon Almanac, a cura di Seth Godin, p. 122-123, ROI Edizioni 2022.
(2) Il progetto Drawdown ha individuato numerose opportunità concrete.
(3) Center for Countering Digital Hate.
(4) IPCC Sixth Assessment Report, aprile 2022.
(5) Le transizioni gemelle: digitale e sostenibilità alleati per cambiare l’Italia, luglio 2022, rapporto di i-Com con Join Group realizzato nell’ambito del Futur#Lab, in collaborazione con WINDTRE.