Smart working: come cambia la casa quando cambia il lavoro?

A tu per tu con Paola Caniglia, responsabile dell’osservatorio sulla casa di Doxa

Il numero di addetti non più vincolati alla presenza fissa in ufficio cresce costantemente. Secondo il Politecnico di Milano siamo arrivati, in Italia, a 480.000 colleghi smart.

Questo andamento zainocratico delle organizzazioni d’impresa – lavoratori mobili, agili, capaci di presidio professionale anche lontano dalla scrivania aziendale – si riflette sui nostri costumi abitativi? Come cambia la casa dello smart worker?

Paola Caniglia lo sa. Il suo punto di osservazione è privilegiato: deus ex machina di casaDoxa, responsabile Retail di Doxa, sociologa ed esperta dei comportamenti abitativi, Paola ha avviato l’osservatorio sulla casa degli italiani, una ricerca nazionale che offre annualmente dati, informazioni e conoscenze sullo stato dell’abitare italico e ne aggiorna mese dopo mese le tendenze.

Paola, la casa degli smart worker è diversa dalle altre?
“In parte sì. Per gli italiani la casa rimane in cima alle priorità ma non si tratta più soltanto del nido protettivo, chiuso, il guscio che ci mette al riparo dalle incombenze. La casa si è fatta dinamica perché deve assecondare esistenze meno prevedibili e carriere non lineari. La disposizione degli spazi domestici favorisce la trasformazione e impone diverse funzioni d’uso per i medesimi oggetti. Quando progettiamo una casa nuova o risistemiamo la casa esistente, vogliamo ambienti che sappiano trasformarsi di continuo. Ci piace la casa camaleonte”.

La ricerca di casaDoxa ha indicato anche una tendenza alla “domesticazione urbana”, come se la casa si estendesse al resto della città. Di cosa si tratta?
“Quando il potere di acquisto non consente di accedere a case più grandi, gli italiani, soprattutto i più giovani, trasformano pezzi di città nella propria abitazione. La diffusione sempre più massiccia degli spazi di co-working va letta in questo senso: se non posso permettermi uno studiolo casalingo, trasporto un pezzo di casa nel tessuto urbano. Le imprese hanno sempre maggiore bisogno di lavoratori che sono disposti ad appropriarsi della visione aziendale e quando il lavoratore è ingaggiato, il controllo del tempo da parte del capo diventa superfluo. La casa e le sue sempre più numerose appendici urbane diventano quindi spazi di lavoro. Il vantaggio è quello di abitare una casa grande quanto la città; d’altra parte, il rischio esiste e non deve essere trascurato: la sindrome dell’always on è in agguato per tutti i lavoratori che non sanno tutelare il proprio tempo libero. Fino a qualche anno fa, arrivare a casa significava per molti di noi “staccare la spina”, oggi è difficile distinguere con esattezza, per esempio, il tempo dedicato all’intrattenimento personale da quello dedicato all’apprendimento professionale”.

Sembra evidente che la trasformazione delle organizzazioni in senso zainocratico (meno burocrazia, meno timore del disordine, minore smania di controllo manageriale, maggiore disponibilità verso la sperimentazione) stia generando un impatto significativo anche sulle nostre case. Come stanno vivendo questi cambiamenti gli italiani?
“Il mercato immobiliare si sta adeguando e anche le aziende che offrono prodotti e servizi per migliorare la qualità della casa si mostrano molto attenti a questi cambiamenti. Ma la qualità percepita non è sempre all’altezza delle aspettative. La nostra ricerca indica con grande chiarezza un dato interessante: quando valutano la propria casa in termini di “prestazioni domestiche”, il grado di soddisfazione degli italiani è basso. Per questa ragione è importante che la cultura manageriale veicoli una riflessione sull’innovazione. E non può che trattarsi di una riflessione condivisa: la casa in trasformazione ha bisogno di sevizi e prodotti che difficilmente possono venire ideati da singoli specialisti. È necessario un dialogo tra diverse competenze. Un esempio concreto è la domotica. Dopo molti anni di grande popolarità mediatica, le aziende hanno capito che sono davvero pochi gli italiani interessati a una casa interamente automatizzata. Quello che serve sono prodotti e servizi che sanno dialogare tra loro anche se vengono offerti da aziende differenti in momenti differenti. Lo smart working ha bisogno di uno smart living ma non è affatto detto che che smart significhi solo tecnologia. La componente tecnologica nelle nostre case si diffonde a macchia d’olio e, proprio per questo, abbiamo un crescente bisogno di semplificazione e accessibilità. Tra qualche settimana entreremo in possesso dei dati della nuova ricerca, che ci aiuterà a ricostruire un vero e proprio ranking degli aspetti più importanti della vita domestica, così sarà più facile aiutare il mercato a comprendere in quale direzione orientare lo sviluppo dell’innovazione.”

Importante, camaleontica, non del tutto soddisfacente, la casa resta in cima alle priorità degli italiani ma ha bisogno di adattarsi a un mondo sempre meno stabile. Credi che i dirigenti del terziario lo abbiano capito?
“Credo lo abbiano capito bene. C’è un grande fervore nel mercato dei servizi legati alla casa e le innovazioni più interessanti sono proprio quelle che interpretato al meglio le trasformazioni atto”.

Ulteriori buone ragioni per nutrire fiducia nel cambiamento.

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