La produttività è un fattore competitivo e di sviluppo determinante, e oggi, grazie alla digitalizzazione, come ci ha mostrato il periodo di pandemia, sempre più servizi possono giovarsi di automazione e tecnologia capaci di superare ataviche verità e altrettanti luoghi comuni sulla produttività dei servizi.
Il lancio dell’Osservatorio del terziario Manageritalia ha davvero aperto un ampio dibattito. Grande da più parti l’interesse per analisi spesso inedite e che danno vita a un dialogo a vari livelli per ripartire con un terziario sempre più in grado di giocare il suo ruolo determinante oggi e in futuro per ogni economia avanzata. Per questo riprenderemo di volta in volta alcuni dei punti chiave del rapporto e cominceremo a condividere analisi, riflessioni e traiettorie per crescere davvero e in tutti i sensi.
Vediamo oggi con il capitolo su produttività, investimenti e margini di profitto (capitolo 2, paragrafi 2.4, 2.5 e 2.6) dell’analisi sviluppata in collaborazione con Oxford Economics.
PRODUTTIVITÀ, INVESTIMENTI E MARGINI DI PROFITTO
1.1. L’OCCUPAZIONE
La distribuzione dell’occupazione nei settori dei servizi è diversa dalla distribuzione del valore aggiunto, a causa delle variazioni nell’intensità del fattore lavoro. Rispetto alle loro quote di VAL, i servizi di alloggio e ristorazione, l’istruzione, del commercio al dettaglio e all’ingrosso e delle attività artistiche, di intrattenimento e divertimento impiegano proporzionalmente molte più persone. Questi quattro settori rappresentano quasi il 40% dell’occupazione totale del settore dei servizi, rispetto alla loro quota del 16% di VAL. All’altro estremo c’è l’attività immobiliare. A causa della sua struttura unica (in cui un numero relativamente piccolo di dipendenti può gestire e chiudere transazioni che possono facilmente arrivare a milioni di euro nel segmento commerciale), genera più del 13% del VAL italiano con solo lo 0,8% dell’occupazione totale.
18,4 milioni
lavoratori nel settore dei servizi, il 40% dei quali lavora nei settori dell’alloggio/ristorazione, dell’istruzione, del commercio all’ingrosso/al dettaglio e delle arti/intrattenimento.
Altri settori sono più adatti all’automazione. Due esempi di questa realtà sono le attività finanziarie e assicurative (dove l’online banking e i bancomat hanno ridotto la necessità di sportelli bancari e cassieri) e i servizi di informazione e comunicazione (dove, una volta sviluppati, i prodotti possono essere distribuiti e utilizzati da un numero illimitato di clienti). Vediamo così le loro rispettive quote di occupazione (2,5% e 2,3%) significativamente inferiori alle loro quote di VAL (5,3% e 3,8%).
Queste tendenze sono confermate nella Figura 2, che mostra il valore settoriale del VAL per lavoratore, espressa sia in livelli assoluti (confermando l’ampia dispersione nell’occupazione) che attraverso la crescita media dal 2010.
Il grafico dimostra anche che alcuni settori sono riusciti ad aumentare la produttività del lavoro nell’ultimo decennio. Il commercio all’ingrosso e al dettaglio è il leader, con una crescita di circa 1,75% all’anno – più o meno in linea con Germania, Francia e Spagna. Questo suggerisce che le molte innovazioni a sostegno dell’efficienza (come le casse dei negozi self-service) sono utilizzate con buoni risultati. Per le ragioni già menzionate, il settore finanziario e assicurativo ha anche aumentato il suo VAL per lavoratore da livelli già alti.
Ma tutti gli altri settori dei servizi hanno visto un calo della produttività del lavoro. Mentre molti di essi (come l’alloggio e le attività ricreative) hanno molte componenti che sono difficili da automatizzare e per le quali il contatto umano è una parte fondamentale del valore che forniscono, ci sono altri settori come la salute e il trasporto/magazzinaggio dove c’è spazio per un miglioramento.
Il settore sanitario è uno di quelli che può offrire opportunità di miglioramento della produttività. L’aumento dell’uso di consultazioni a distanza e altre opzioni self-service per i controlli medici di routine (che sono state implementate per necessità in vari gradi durante la pandemia) potrebbe portare benefici, così come l’uso più diffuso di cartelle cliniche elettroniche per coordinare al meglio il trattamento dei pazienti.
1.2 INVESTIMENTI
Poiché gli investimenti tendono a migliorare l’efficienza dei lavoratori, le tendenze nella dinamica di spesa sono un importante corollario alla storia della produttività. Un’analisi dell’intensità degli investimenti a livello settoriale offre alcune giustificazioni ai diversi tassi osservati nella produttività per lavoratore.
Gli investimenti sono concentrati in soli cinque settori (informazione/comunicazione, attività professionali/amministrative, attività immobiliari, commercio all’ingrosso/al dettaglio e trasporto/magazzinaggio), che rappresentano più dell’85% del CAPEX totale del settore dei servizi nel 2019. Le sole attività immobiliari rappresentano più del 40%. Ma la metrica più importante per quanto riguarda l’efficienza del settore è la variazione del rapporto (investimenti)/(valore aggiunto lordo) nel tempo mostrato nella Figura 3.
Una delle tendenze su cui riflettere è che, con pochissime eccezioni, l’intensità degli investimenti è diminuita nell’ultimo decennio, il che può essere parte della ragione della scarsa performance di produttività in un certo numero di settori. Un esempio che spicca è il trasporto e il magazzinaggio, la cui produttività del lavoro è scesa dell’1% annuo dal 2010 al 2019. Possiamo vedere che anche la sua intensità di investimento è diminuita sostanzialmente nello stesso periodo. Questo andamento è proprio di altri settori la cui produttività è diminuita, come l’alloggio e la sanità. Al contrario, i settori che hanno aumentato la loro intensità di investimento hanno visto una crescita più favorevole della produttività del lavoro. Alcuni di questi sono le Attività Finanziarie e i Servizi di Informazione e Comunicazione. Anche il settore immobiliare ha visto un forte calo dell’intensità degli investimenti, che probabilmente riflette uno spostamento da investimenti “greeenfield” verso la manutenzione e le transazioni di beni immobiliari esistenti, che è coerente con il crollo immobiliare seguito alla crisi finanziaria globale del 2008-09.
Esploriamo la relazione tra investimenti e produttività nei prossimi grafici. In Figura 4 viene analizzato il rapporto tra la variazione dell’intensità d’investimento e la variazione della produttività del lavoro tra il 2010 ed il 2019 per l’intero settore dei servizi per un gruppo di Paesi. Abbiamo ampliato l’insieme dei Paesi in questa analisi per ottenere una maggiore rilevanza statistica. Emerge una relazione lineare positiva: i Paesi che hanno aumentato di più gli investimenti sono anche quelli in cui la produttività è aumentata maggiormente, in media. Come già sottolineato nei paragrafi precedenti, l’Italia ha visto diminuire gli investimenti negli ultimi dieci anni e, coerentemente con la tendenza empirica appena delineata, è uno tra i Paesi con la performance peggiore lato produttività del lavoro.
Per approfondire ulteriormente la relazione tra investimenti e produttività ricorriamo ad un modello di regressione multivariata per sfruttare al meglio tutte le dimensioni di eterogeneità che i dati raccolti consentono di avere. Nello specifico, stimiamo un modello in cui la produttività (in logaritmo) in un anno t (tra 2010 e 2019) è funzione dell’intensità degli investimenti a t-1 (l’anno prima), al netto degli effetti di periodo e di Paese. Il risultante grafico a dispersione è riportato in Figura 5. La linea rossa rappresenta la relazione media fra investimenti e produttività in un certo settore dei servizi di uno dei Paesi dell’analisi in un anno t (tra 2010 e 2019). Grazie alla maggiore profondità dei dati, è possibile notare come la relazione positiva sia ancora più evidente, e concludere che ad una maggiore intensità di investimenti corrisponde, in media, un premio in termini di produttività del lavoro.
1.3 MARGINI DI PROFITTO
I margini di profitto (espressi come il rapporto tra il surplus operativo lordo e il fatturato nominale) tendono ad essere simili tra i settori, nell’intervallo tra il 20% e il 30%. Questi margini sono stati abbastanza stabili dal 2010 (anche durante la crisi del debito sovrano della zona euro a partire dal 2012) e sono alla pari con altre grandi economie della zona euro. Sono scesi di un paio di punti percentuali da allora, ma le diminuzioni sono state ampiamente distribuite tra i settori, indicando che non ci sono stati sviluppi materiali che hanno avuto un impatto su un settore in particolare.
Le attività immobiliari hanno margini molto alti in tutti i paesi europei. Il fatturato è essenzialmente il valore totale di tutte le transazioni immobiliari. L’importo che spetta agli agenti è relativamente basso e viene pagato generalmente in percentuale alla transazione. Il costo di costruzione di una casa o di un edificio è generalmente molto inferiore al suo prezzo di vendita. Di conseguenza i profitti che spettano al costruttore sono una quota molto grande del valore totale della transazione. A livello aggregato, questo si traduce in margini di profitto di oltre l’80%. Nonostante la debolezza dei prezzi immobiliari negli ultimi dieci anni, i margini di profitto immobiliari non sono cambiati significativamente, principalmente grazie alla riduzione dei costi di costruzione.
Il settore dell’istruzione ha margini molto bassi, poiché le scuole per tutte le fasce d’età sono, con poche eccezioni, gestite come entità senza scopo di lucro.