Bar, ristoranti, pizzerie e affini hanno subìto in maniera pesante gli effetti della pandemia. Non si tratta solo delle chiusure forzate, che hanno fermato il business per molti mesi, ma anche dei cambiamenti nei comportamenti degli italiani. Con il Covid si sono affermati nuovi modelli di consumo, che vanno dal delivery – diffuso soprattutto (ma non solo) tra i più giovani – al take-away più o meno selvaggio, di cui ha parlato di recente Dario Di Vico sul Corriere della Sera.
In questo quadro, qual è l’attuale situazione del food outdoor? Ad oggi, secondo le rilevazioni del Global Outlet Index, realizzato da CGA by NielsenIQ, si contano in Italia oltre 328mila locali, in crescita del 4% rispetto al 2020. Le nuove aperture si sono concentrate nel Centro e nel Sud del paese, grazie anche all’effetto del turismo nazionale e internazionale. Si segnalano, in particolare, il Lazio, che ha registrato l’apertura di 18.600 ristoranti, e l’Abruzzo, dove sono stati inaugurati 2.820 bar e 4.407 ristoranti.
Al netto delle differenze geografiche, emerge tuttavia una chiara tendenza alla polarizzazione. A performare sono soprattutto le fasce estreme dell’offerta. Da un lato troviamo così i locali che propongono cibo a un prezzo conveniente, spesso veloce e facile da consumare, legato alla tradizione (per esempio, la pizza, la piadina, il cibo di strada), oppure a un contesto etnico (come i ravioli cinesi o il poké). A dominare qui sono le catene verticali, incentrate su un ingrediente e/o una ricetta, come Alice Pizza, Cioccolati Italiani, Poke House o La Piadineria.
Il loro successo si basa sul bilanciamento, tra specializzazione (sono percepiti come gli specialisti di quel prodotto) e standardizzazione (i clienti sanno esattamente cosa trovano). A questo si aggiunge un tema di accessibilità economica, che deriva da un mix di fattori, a partire dalla razionalizzazione degli acquisti (grandi quantità di un numero limitato di ingredienti).
Dall’altro lato troviamo i locali che offrono, oltre alla qualità eccellente della cucina, un’esperienza di valore. Esperienza che si declina a più livelli: dal nome dei piatti presentati sul menù, che anticipa e in qualche modo prefigura l’esperienza stessa, all’ambiente, dal modo in cui i piatti sono presentati (il celebre impiattamento) al servizio. Ovviamente, il tutto si riflette sul prezzo, che si posiziona nelle fasce medio-alte/alte del mercato. Qui si collocano i ristoranti degli chef stellati e/o resi celebri da programmi televisivi e social media, da Carlo Cracco ad Alessandro Borghese, da Antonio Cannavacciuolo a Massimo Bottura. Ma qui si collocano anche i ristoranti con una storia e una tradizione solida alle spalle che hanno saputo mantenere nel tempo la propria immagine.
A Milano ci sono, per esempio, l’Antica Osteria Cavallini, la cui fondazione risale al 1934, e da Giacomo, che al locale originario ha via via aggiunto altri format, mentre a Roma un nome di riferimento è Da Fortunato, al Pantheon.
Tra questi due estremi, tra chi punta su una ristorazione veloce ed economica e chi offre un’esperienza premium, c’è un mondo. Un mondo fatto di locali che cercano un posizionamento e una giustificazione a un prezzo non così economico: c’è chi gioca la carta della reinterpretazione delle ricette tradizionali (si pensi al filone delle pizzerie gourmet o presunte tali), chi si aggrappa alla regionalità e chi inventa commistioni più o meno azzardate tra varie cucine. Un mondo che oggi fa sempre più fatica a intercettare i bisogni dei consumatori e, se non trova una ragione d’essere, rischia di trasformarsi in una terra di nessuno.