Recovery Fund: da riscrivere?

La domanda se sia opportuno migliorare la bozza di gennaio o riscriverla tout court è legittima. Un’analisi degli elementi che suscitano perplessità e alcune proposte per sciogliere i nodi che Mario Draghi deve affrontare

LA BOZZA DEL PIANO NAZIONALE di ripresa e resilienza (Pnrr) – o nella definizione mediatica “Recovery fund italiano” – è stata resa pubblica (stranamente con la dicitura “Solo uso interno – Riservata”) il 12 gennaio di quest’anno. Le critiche sono state decisamente prevalenti rispetto agli apprezzamenti positivi riconosciuti su vari punti. Ha colpito, in particolare, l’affermazione di Matteo Renzi, secondo cui si potrebbe riscrivere un nuovo Pnrr in tre giorni e quindi questa sarebbe la strada da percorrere da parte del nuovo governo. Sembra un’ipotesi alquanto ottimistica e resta il dubbio su cosa preferire: migliorare la bozza di gennaio o riscriverla daccapo? E quali sarebbero gli elementi chiave da migliorare? Vediamoli insieme.

Governance
L’ammontare messo a disposizione dell’Italia dalla Ue con il solo Next generation Eu (intorno a 210 miliardi di euro) è superiore di qualche decina di miliardi all’ammontare del Piano Marshall per l’intera Europa (a valori attualizzati, ossia tenendo conto dell’inflazione intercorsa dal 1948 ad oggi). Naturale che per essere in grado di utilizzare risorse così ingenti, circa il 40% delle quali sotto forma di sussidi a fondo perduto, occorra indicare con chiarezza una struttura di governance che ne definisca, gestisca e controlli l’implementazione.

Tale struttura, identificata inizialmente in una piramide con in cima sei capi-missione, alcuni responsabili a livelli intermedi e 300 esperti, non è esplicitata nel Pnrr del 12 gennaio. In realtà, dal lontano 1967 la funzione di indirizzo, gestione e supervisione degli investimenti pubblici sarebbe demandata al Cipe (ridenominato Cipess dal 1° gennaio 2021 – Comitato interministeriale programmazione economica e sviluppo sostenibile).

Un chiarimento sulla governance per la gestione di oltre 210 miliardi di risorse finanziarie in pochi anni appare prioritario per un nuovo Pnrr. Qui si innesca anche la necessità di sfruttare pienamente le risorse manageriali di cui il Paese dispone, ma di cui si tende a sottovalutare l’utilità. Questa necessità si intreccia ed è resa ancora più stringente
dalla gestione di un problema molto sottovalutato nel dibattito odierno, ossia l’insufficienza sia numerica che di skill delle risorse di capitale umano per la realizzazione concreta e contemporanea di un numero elevato di grandi progetti ad alto contenuto tecnologico o innovativo. Una forte capacità manageriale può contribuire significativamente a ottimizzare l’utilizzo delle insufficienti risorse a disposizione.

L’impostazione generale
Per gli aspetti strutturali su cui andare a incidere nei prossimi anni, il Pnrr si rifà alle raccomandazioni fatte dalla Commissione europea negli ultimi anni e a quello che è diventato un “consensus” riconosciuto tra gli addetti ai lavori. Dal punto di vista della diagnosi delle problematiche è quindi un piano ben fatto. Appare tuttavia lacunosa la visione complessiva dell’Italia e del suo ruolo in Europa. Viene infatti rappresentata una generica “opportunità di un vero e proprio Rinascimento economico europeo” del quale “l’Italia intende essere protagonista” attraverso “lo sviluppo sostenibile, la digitalizzazione e l’innovazione, la riduzione dei divari e delle diseguaglianze”.

Al di là di queste enunciazioni, resta sospesa l’esplicitazione del contesto istituzionale con cui ci si aspetta di implementare il piano: un Paese con livelli decisionali accentrati o decentrati? e in che misura? che agisce con le procedure attuali (per esempio Gdpr, Anac ecc.) oppure con procedure riviste e semplificate, con conseguente impatto positivo su tempistiche e gestione dei progetti Pnrr?

Un paese in cui lo Stato è promotore di imprenditorialità oppure dove lo Stato sia esso stesso imprenditore e/o conservi un forte ruolo di indirizzo delle scelte imprenditoriali (con modi diversi di gestire e finanziare le risorse Pnrr)? Aperto al contributo rilevante di forza lavoro e aziende straniere, con le ripercussioni positive e negative da gestire e che impattano su vari capitoli delle risorse (skill e competenze della forza lavoro, integrazione, periferie, welfare ecc.)?

Pur essendo queste domande di ampio respiro politico, un piano di queste dimensioni necessita di un quadro di riferimento istituzionale moderno e capace di dare risposte in tempi rapidi.

Allineamento a Next generation Eu (Ngeu)
Il Next generation Eu rappresenta il maggiore sforzo finanziario per il raggiungimento dell’obiettivo, già indicato dalla Commissione europea negli anni precedenti la pandemia, di trasformare strutturalmente l’industria europea, rafforzandone la competitività, soprattutto tramite lo sviluppo di filiere industriali nel digitale e nell’energia rinnovabile. Nel Ngeu lo stimolo della domanda finale nei singoli paesi deriva dall’impatto degli investimenti indirizzati a questa trasformazione in senso sostenibile.

Nel Pnrr italiano l’enfasi è piuttosto posta sul lato della domanda, tramite assunzioni nella pubblica amministrazione, fiscalità di vantaggio per il lavoro al Sud e a giovani e donne, stimolo all’acquisto di beni strumentali, efficientamento energetico degli edifici, incentivo all’utilizzo di veicoli elettrici, bonus vari ecc. Come esemplificato da Carnevale-Maffè, “i fondi non vanno dedicati ad assumere funzionari per i tribunali italiani, dotandoli finalmente di un computer, ma a sviluppare tecnologie scalabili per i servizi di cybersecurity e di “natural language processing” mirati a gestire in modo più efficiente i processi della giustizia”.

In altre parole, il Pnrr appare orientato a “trasformare il Paese in un mercato di consumo di soluzioni un po’ più digitali e un po’ meno inquinanti”, investendo solo in modo residuale in filiere industriali avanzate e in R&S. Il risultato sarà un deterioramento significativo della nostra bilancia commerciale causato dalla necessità di importare quei prodotti di cui si è incentivata la domanda ma non la produzione domestica ad alto valore aggiunto. Discorso analogo per domanda e offerta di lavoro e competenze. Un riallineamento con l’ispirazione strategica dell’Ngeu europeo che includa un piano specifico per la ricerca e l’innovazione in tecnologie avanzate (valga il Piano Amaldi a mo’ di esempio) potrebbe quindi essere all’ordine del giorno di una riscrittura del Pnrr.

Missioni e priorità
Il Pnrr definisce sei “missioni”, con relativa allocazione delle risorse finanziarie disponibili (vedi grafico): Digitalizzazione,Transizione ecologica, Infrastrutture, Istruzione e ricerca, Inclusione, Salute. L’allocazione quantitativa delle risorse per la digitalizzazione e la rivoluzione verde rispecchia necessariamente le percentuali indicate dall’Unione europea. Nelle 172 pagine del Pnrr, l’utilizzo delle risorse per le sei missioni viene dettagliato in 16 componenti, a loro volta articolate in 47 linee di intervento, accompagnate dalla stima delle risorse destinate a ogni componente.

Tuttavia, la scelta degli interventi non deriva da priorità ben definite e la sostanziale assenza di priorità appare un grosso punto debole per un piano di rilancio del Paese di queste dimensioni e con tempistiche brevi. Ad esempio, ai fini dell’allocazione delle risorse finanziarie, i progetti di Alta velocità ferroviaria per le tratte Napoli-Bari, Brescia-Verona-Vicenza-Padova e Salerno-Reggio Calabria sono raggruppati insieme a investimenti di velocizzazione di tratte già esistenti (Roma-Pescara, Orte-Falconara, Palermo-Catania-Messina, Liguria-Alpi, Taranto-Metaponto-Potenza-Battipaglia e Verona-Brennero).

Per il totale di questo raggruppamento, viene indicato un ricorso ai fondi europei di 14,79 miliardi di euro (inclusi investimenti già in essere), senza alcuna stima del costo previsto per ogni singolo intervento dell’impatto economico atteso né di priorità di scelta nel caso in cui più opere dovessero dimostrarsi più onerose o con tempistiche di realizzazione più lunghe di quanto anticipato. L’intero Pnrr è caratterizzato da questa genericità nella definizione delle linee di intervento. Il nuovo Pnrr non potrà che mettere mano anche a questo aspetto.

Impatto dei progetti
Sarebbe auspicabile che il nuovo Pnrr affrontasse due ulteriori tematiche tra loro interconnesse. La prima è l’analisi della compatibilità tra linee di intervento. Un esempio (tra i tanti possibili) è la scelta non esplicitata nel Pnrr di gennaio 2021 tra investimenti su elettrico rinnovabile e idrogeno negli usi finali dell’energia.

Un aumento significativo della penetrazione dell’auto elettrica comporta la necessità di stravolgere il sistema di rifornimento delle auto (colonnine) e di incrementare in maniera molto significativa la potenza e la diffusione delle centrali di distribuzione della grid elettrica per consentire la funzionalità delle oltre 100mila colonnine ad alta potenza necessarie a coprire il rifornimento lungo gli oltre 85mila chilometri della nostra rete viaria e autostradale. Si tratta di investimenti per varie decine di miliardi da spendere nei prossimi dieci anni. Spingere allo stesso tempo sull’idrogeno per ravvicinarne l’utilizzo come fonte per la trazione dei veicoli finirebbe per rendere obsoleto l’investimento sul sistema di distribuzione elettrico.

Altri esempi potrebbero essere portati sull’eventuale sovrapposizione di infrastrutture per il trasporto, come autostrade, alta velocità, aeroporti per collegare una città oggi non servita. La definizione delle priorità su questi temi porta all’altra tematica su cui il nuovo Pnrr potrebbe (e dovrebbe) differenziarsi da quello di gennaio, l’uso di strumenti di analisi di impatto e/o di costi/benefici, un approccio che nel nostro Paese è pressoché assente.

Foto in alto, Mario Draghi: Fonte: sito Quirinale

Ursula von der Leyen: CC-BY-4.0: © European Union 2019 – Source: EP


Allocazione delle risorse del Pnrr (miliardi di euro)

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