Pillole di finanza innovativa

Linee guida per un modello bancario disruptive

Da cinque secoli, ormai, siamo abituati al mondo bancario con i suoi linguaggi, i suoi strumenti e le sue consuetudini e cerchiamo di interpretare il futuro attraverso termini e comportamenti già rottamati.

Sono scomparse le banche del territorio e al posto della risolutiva chiacchierata con il direttore ora ci sono un algoritmo (il rating!?) e la famigerata direzione generale, che sembra decidere ogni cosa.

Ma l’imprenditore deve comunque andare avanti, cercando strumenti e modalità innovativi per trovare il denaro necessario alla sua azienda.

Quello che l’imprenditore non coglie è che per innovare davvero non basta comprare un programma o un’app che faccia il miracolo: bisogna cambiare in prima persona.

Mi spiego meglio: il denaro c’è e tantissimo. Mi riferisco al risparmio degli italiani sui conti correnti, ben duemila miliardi di euro a rendimento zero. Il professor Romano Prodi in una recente intervista ha dichiarato: «Non ci possiamo più permettere il lusso di tenere pigramente una tale ricchezza parcheggiata e non indirizzarla sull’economia reale».

L’imprenditore (e il manager) al centro
Partendo da questa saggia affermazione, dobbiamo allora chiederci: cosa posso fare io per potermi meritare questi investimenti?

Questa domanda rappresenta una vera rivoluzione copernicana, perché si passa dal bancario “merito creditizio” al più accessibile “merito reputazionale”. Si passa da un mondo “bancariocentrico” a un mondo “imprenditorecentrico”.

L’imprenditore deve “metterci la faccia” e aprire i cancelli alla società che gravita intorno a lui, riaffermando non solo il valore individuale delle imprese, ma anche, e soprattutto, quello sociale.

Bisogna quindi costruire un modello di coinvolgimento dei risparmiatori che permetta loro di fidarsi dell’imprenditore, della sua azienda e dei suoi progetti, da finanziare condividendone il successo.

Credo che nel futuro sarà strategico il ruolo dei manager alla costruzione di questi nuovi modelli, alla loro sensibilità e cura sarà affidato il compito di creare canali comunicativi con gli investitori e con i risparmiatori, che dovranno conoscere e apprezzare l’azienda e i suoi progetti futuri.

Correttezza, trasparenza, comunicazione
Per mia esperienza sul campo, tre sono gli elementi fondamentali per una robusta costruzione “reputazionale”: correttezza, trasparenza e comunicazione.

Cominciamo dalla correttezza. La certificazione di bilancio è un presupposto minimo affinché siano credibili i numeri e i valori societari: i presìdi della 231, le figure di compliance e risk manager, il consigliere indipendente, il rating di legalità, il presidio dei rischi aziendali e la loro ponderazione, la presenza di un management qualificato e con poteri reali di intervento e altro di questo tipo.

La trasparenza è un elevato valore qualitativo e reputazionale che incide fortemente sul bisogno di fiducia che hanno gli investitori istituzionali e non professionali. E su questo argomento siamo veramente molto indietro: più diamo informazioni verificabili, più gli investitori non hanno da cercare “la polvere nascosta sotto il tappeto” che, se trovata, crea un muro insuperabile.

E per quanto riguarda la comunicazione? Se pensiamo che normalmente le aziende comunicano solo con atti ufficiali, e il principale strumento (se non l’unico) è la relazione al bilancio, ogni commento sulla qualità della comunicazione risulta quasi superfluo.

Atti preparatori (e imprescindibili)
Mi rendo conto che non ho fornito informazioni sulla finanza innovativa, ma mi sono soffermato maggiormente sugli “atti preparatori”: non si può approcciare l’argomento in modo utile e vincente, limitandosi alle abituali domande che vengono poste nei convegni sul “qual è il tasso dei minibond”, “qual è il taglio minimo”, “quali documenti ci vogliono per fare un minibond”. Qui è in gioco il futuro di almeno un terzo delle imprese italiane. Non ci sono scorciatoie.

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