Phygital: il nuovo che avanza

È in arrivo uno scontro tra titani nel mondo del retail

Pochi mesi fa Amazon ha scioccato il mondo mostrando un supermercato automatizzato dove si poteva fare la spesa senza passare tornelli, casse e commesse.

Nei prossimi anni (al massimo un decennio) arriveremo a uno scontro tra titani. Lo stile di shopping, pagamento, qualità e percezione della vita occidentale (sotto la guida degli americani) e quello orientale (sotto la guida dei cinesi) con in mezzo il territorio di guerra: Europa, America Latina, Medio Oriente e Africa (un continente interessante ma, invero, con un’urbanizzazione ancora sfidante per una rete di centri commerciali strutturata).

La corsa globale alla digitalizzazione dell’esperienza retail (dallo shopping di lusso al semplice fare la spesa al supermercato sotto casa) è in pieno boom. Il termine con cui si definisce questo fenomeno è Phygital (fusion di Physical e Digital).

La prima sfida che pone il phygitaln è il tema occupazionale. Lavoro umano contro lavoro automatizzato. Un’analisi del World Economic Forum suggerisce che dal 30% al 50% dei posti di lavoro nel mondo retail saranno a rischio a causa della crescente automazione del settore (in aggiunta alle sfide date dal settore dello shopping online).

Un secondo aspetto di questa digitalizzazione è legata alla privacy. Il tema bigdata/dati personali è divenuto manifesto con la crisi Facebook e Cambridge analitica. Consideriamo Amazon Go: le telecamere non perdono mai di vista ogni singolo cliente. Se a questa tecnologia di tracciamento video associamo le recenti tecnologie e le relative patenti per analisi biometrica micro facciale (Facebook, Google e gli altri Big Data stanno lavorando a questa tecnologia) lo scenario si complica. In un futuro molto prossimo (un paio di anni) i centri commerciali phygital potranno costruire un profilo usando sensori e telecamere. A questo profilo verrà accoppiato quello esistente creato con i dati che sono già in possesso (pensiamo sempre al caso Amazon) del retailer online (in questo caso si parla comunemente della sua storia digitale).

Uno scenario in cui la vita e le abitudini di spesa (ma anche le semplici opinioni estrapolandole a uno sguardo perplesso o di felicità quando si guarda una scatoletta di tonno o un abito) di ogni singolo cittadino diventeranno di proprietà di un numero sempre più ristretto di attori.

Con il prototipo Amazon Go validato (sicuramente dai media dove ha riscosso un grande successo) sembra molto probabile che il gruppo di Bezos voglia muoversi nel mondo retail fisico. L’acquisto di qualche mese fa del gruppo Whole Food è una prima conferma; un’ulteriore conferma viene dalla recente ricerca di manager esperti in real estate per la ricerca di location per i Go Stores (come riporta il Guardian).

Se lo scenario occidentale americano è interessante, quello orientale, con la Cina come capofila, appare essere già entrato in pieno nell’era degli stores phygital.

Alibaba, una delle più grandi realtà del retail online, ha aperto 35 posizioni fisiche automatizzate dove si può ordinare online e acquistare la merce una volta terminato dal negozio. I clienti scannerizzano il prodotto, pagano tramite il riconoscimento facciale (in Cina i social network hanno livelli di penetrazioni estremi) e la merce acquistata, già insacchettata, arriva nella zona di carico dove può essere acquisita dal cliente.

Un altro gruppo che opera nello shopping online, JD, ha pianificato una soluzione dove i prodotti vengono integrati con chip che permettono la loro lettura a distanza e contabilizzazione sul conto del cliente.

Il gruppo sta testando nuovi centri che possono sfruttare a pieno una visione digitale associata a sensori sugli scaffali (una soluzione in linea di principio identica a Amazon ma con tecnologie autoctone), il pagamento avverrà con riconoscimento biometrico facciale.

Entrambi i gruppi, JD e Alibaba, contano di ampliare la loro rete divenendo fornitori di soluzioni chiavi in mano tutto incluso per i centri commerciali “vecchi”, di fatto divenendo un competitor diretto di Amazon e le soluzioni come AWS del gruppo americano.

Se le scelte dei titani sono più o meno chiare, resta da vedere cosa faranno i piccoli e i vecchi.

È possibile intravedere un’alleanza o quantomeno una collaborazione tra le giovani startup e i vecchi retailer analogici?

Una startup chiamata Bingo Box gestisce circa 100 convenience store (definizione inglese che più o meno possiamo tradurre come negozio di prossimità). I clienti possono scannerizzare il codice a barre con il cellulare e pagare con lo stesso. Una volta pagato, il sistema autorizza il cliente a uscire aprendo la porta.

Anche nel mondo dei “vecchi retailer” qualcosa si muove. Spinto dalla riduzione crescente dei margini e dal terrore di dover soccombere ai grandi innovatori, Walmart sta testando l’automazione degli scaffalisti. Il gruppo sta sperimentando i robot della società Bossa Nova: le unità automatizzate monitorano gli scaffali per vuoti negli spazi ed etichette non corrette.

Negli stessi Walmart i clienti possono scannerizzare i prodotti utilizzando la telecamera presente nei propri smartphone e pagare usando lo stesso cellulare. Giusto per evitare eventuali furti, prima di uscire un dipendente controlla lo scontrino ed effettua controlli casuali nel carrello.

Il sistema, per quanto rappresenti un’evoluzione rispetto ai modelli tradizionali, sembra ancora un aggregato di soluzioni piuttosto che un singolo sistema a flussi integrati come le soluzioni sopra menzionate.

Un altro gruppo americano, Kroger, sta implementando un approccio di scanning di prodotti tramite cellulare. Da soluzioni per evitare di fare la fila alla cassa a sistemi robotici che aggiornano o riempiono gli scaffali durante la giornata, due costi umani più facilmente eliminabili.

Le startup giocano un ruolo interessante in questo conflitto. Se Amazon, Alibaba e JD fanno “tutto in casa”, eventualmente acquistando intere startup per poi inglobarle, i vecchi retailer cercano di approfittare dell’abbondanza di startup nate di recente.

La prima linea di innovatori – malignamente si potrebbe dire i “sacrificabili” – sono le startup.

Il numero di startup italiane e soprattutto straniere che stanno cercando di “tagliare i costi” per il retail sono numerose e variegate nella loro offerta.

Queste realtà giovani, flessibili e potenzialmente economiche stanno tentando di competere a un livello più agile e dinamico con i colossi digitali.

AiFi sta lavorando su soluzioni per digitalizzare l’esperienza di pagamento e far sì che ogni generazione (madri e padri e, perché no, anche i nonni) possano pagare senza fermarsi alla cassa. L’azienda irlandese Everseen è focalizzata su sistemi di pagamento utilizzando l’intelligenza artificiale.

Il grave rischio che molte di queste startup corrono è di essere stritolate tra due fronti: i titani innovatori (Amazon e Alibaba, per esempio) e quelle dei vecchi supermercati che, pur se sulla carta sono tutto un tripudio di innovazioni, tendono ancora ad avere una logica di crescita dei margini tirando il collo ai fornitori o sulle ore lavoro personale umano. In pratica, una visione di investimento con un piano di ritorno di investimenti medio lungo sembra, al momento, essere appannaggio solo di grandi gruppi con una pianificazione strutturata.

D’altro canto la retail apocalipse, termine divenuto sempre più familiare anche in Italia, è tutta fuorché finita. L’equilibrio tra store online e fisici è già molto delicato, a svantaggio dei primi. Con l’aggiunta degli store phygital la competizione diventa ancora più feroce. Macy’s, Toys R Us, Sears e di recente in Italia il gruppo DPS (che possiede Trony) sono un semplice ma efficace monito al mondo del vecchio retail: o ci si evolve rapidamente o si muore rapidamente.

Facebook
LinkedIn
WhatsApp

Potrebbero interessarti anche questi articoli

Cerca