Paolo Pellegrini – vicedirettore Mefop
Un’importante fonte di finanziamento della propria posizione di previdenza complementare è il Tfr maturando, essenziale per avere un montante sufficiente, soprattutto per i lavoratori la cui pensione sarà calcolata con il metodo contributivo (cioè, per chi ha iniziato a lavorare dopo il 1° gennaio 1996).
A fronte di questa opportunità, però, spesso le persone mantengono il Tfr maturando in azienda, rinviando la scelta di destinazione al fondo pensione, perdendo così l’occasione di curare il proprio interesse.
Vediamo allora perché destinare il Tfr al fondo pensione conviene, quali sono gli strumenti a supporto di questa scelta e quali le misure compensative per le imprese previste dalla normativa vigente
Integrare la pensione: una necessità per i lavoratori contributivi
Versare contributi sufficienti nei fondi pensione è necessario soprattutto per chi rientra nel sistema contributivo: il tasso di sostituzione[1] sarà più contenuto rispetto ai lavoratori retributivi. Conseguentemente è importante poter contare sulla pensione complementare, accumulando risorse sufficienti nel proprio fondo pensione. Si ritiene che un accantonamento di circa il 10% del reddito lordo possa costituire un’adeguata integrazione. Senza il versamento del Tfr maturando (pari al 6,91% della Ral[2]) è difficile risparmiare a sufficienza.
Maggiori vantaggi fiscali
Lasciare il Tfr in azienda comporta una più elevata tassazione. In caso di anticipazione o di erogazione in occasione della cessazione del rapporto di lavoro, il Tfr è soggetto a tassazione separata con successiva riliquidazione a cura dell’Agenzia delle entrate, che applica l’aliquota media degli ultimi 5 anni, dunque minimo 23% (ma di solito molto di più)[3].
Invece, il Tfr destinato al fondo pensione (quando viene erogato sotto forma di anticipazione, riscatto, Rita o prestazione pensionistica) è soggetto a tassazione sostitutiva, dunque massimo 23%. Per alcune prestazioni (anticipazioni per spese sanitarie, prestazioni pensionistiche in capitale o rendita, Rita e riscatti per lunga inoccupazione o invalidità) si applica il 15% nei primi 15 anni di partecipazione al fondo pensione, aliquota che scende al 9% dopo 35 anni di partecipazione al fondo pensione, senza che al fisco si debba più nulla.
Maggiore flessibilità e liquidità
Il Tfr versato al fondo pensione gode di maggiore flessibilità rispetto al Tfr in azienda, offrendo anticipazioni fino al 75%[4] del montante (contro il 70% del Tfr in azienda) ed è possibile chiedere l’anticipo anche subito per spese sanitarie. Inoltre, dopo 8 anni di partecipazione, si ha diritto a ottenere l’anticipo del 30%[5], che invece non spetta se si ha il Tfr in azienda. Va inoltre ricordato che, quando si perdono i requisiti (ad esempio, cambio lavoro), è possibile chiedere il riscatto di tutto il montante, con tassazione sostitutiva al 23%, molto meno della tassazione del Tfr liquidato dal datore di lavoro.
Rendimenti
Il Tfr lasciato in azienda si rivaluta dell’1,5% più il 75% dell’inflazione. L’investimento nel fondo pensione, invece, produce rendimenti che dipendono dal comparto di investimento scelto dall’interessato. In questo modo si può optare per gestioni prudenti o più dinamiche che offrono rendimenti attesi maggiori nel lungo periodo.
Cessione V
Una forma diffusa di prestiti personali è il finanziamento con cessione del V dello stipendio. In questi casi, una garanzia per il finanziatore è rappresentata dal Tfr accantonato presso il datore di lavoro. Alcuni pensano erroneamente che, versando il Tfr al proprio fondo pensione, non si potrà più accedere ai finanziamenti garantiti dallo stesso Tfr. In realtà è vero il contrario! Quando il Tfr è versato a un fondo pensione, la garanzia sussiste comunque, ma si sposta sul fondo pensione. Gli istituti di credito preferiscono i fondi pensione – soggetti vigilati e ben strutturati – rispetto a datori di lavoro non sempre organizzati per interloquire con le finanziarie. Questa preferenza si spinge al punto da poter erogare maggiori finanziamenti a chi ha destinato il Tfr al fondo pensione a parità di altre condizioni.
A chi spetta il Tfr in caso di decesso
Purtroppo, nella vita è necessario mettere in conto ogni evenienza. In caso di morte, il Tfr in azienda è erogato ai soggetti indicati dal codice civile (art. 2122): coniuge, figli e, se a carico, parenti entro il terzo grado e affini entro il secondo grado. La ripartizione avviene secondo il bisogno di ciascuno. Solo in mancanza di questi soggetti, si procede secondo le norme della successione legittima. La norma precisa che è nullo ogni patto anteriore alla morte del prestatore di lavoro circa l’attribuzione e la ripartizione del Tfr.
Il Tfr versato al fondo pensione, invece, è riscattato dai soggetti designati dall’aderente al fondo pensione e solo in mancanza di designazione il riscatto spetta agli eredi in parti uguali.
Al Fondo si può versare anche il Tfr pregresso? Solo in parte
Il lavoratore può destinare al fondo solo il Tfr maturando. Il Tfr già maturato può essere trasferito solo se l’azienda lo acconsente. Se però il Tfr è confluito nel Fondo di tesoreria Inps (previsto dal 2007 per aziende con almeno 50 addetti), le somme accantonate non possono più essere trasferite nel circuito virtuoso della previdenza complementare. In questi casi, lasciare il Tfr in azienda è una scelta irreversibile!
E per le imprese? Specifiche misure compensative per l’azienda che perde il Tfr maturando (art. 10, d.lgs. 252/05)
Si tratta di misure che si applicano ai datori di lavoro che perdono il possesso del Tfr maturando, sia che venga versato al fondo pensione, sia quando è devoluto al Fondo di tesoreria Inps. Le misure compensative consistono in:
- Deduzione fiscale del 4% del Tfr maturando (6% per le imprese con meno di 50 addetti). Dal reddito d’impresa è infatti deducibile un importo pari al 4% dell’ammontare del Tfr annualmente destinato a fondi pensione o fondo di Tesoreria. Per le imprese con meno di 50 dipendenti, tale importo è elevato al 6%;
- Riduzione del contributo al Fondo di garanzia Inps, pari allo 0,20% della Ral, in proporzione al Tfr maturando che non resta in azienda. Il Tfr è pari al 6,91% della Ral. Quando il Tfr resta in azienda, il datore di lavoro versa lo 0,20% della Ral all’Inps per il fondo di garanzia a tutela del Tfr. Se il Tfr non è in azienda, è previsto il risparmio dello 0,20% della Ral in proporzione al Tfr maturando di cui il datore di lavoro non è più in possesso.
- Riduzione degli oneri impropri pari allo 0,28% della Ral in proporzione al Tfr maturando che non resta in azienda.
A ciò si aggiunga che, quando il Tfr non è in azienda, il datore di lavoro non è tenuto a riconoscere la rivalutazione annuale sul Tfr – si ricorda 1,50% + il 75% dell’inflazione, che in alcuni anni può essere molto elevata, come ad esempio è stato nel 2022 – né a curare gli adempimenti tributari conseguenti (versamento entro il 16 febbraio dell’imposta del 17% sulla rivalutazione e correlati adempimenti dichiarativi).
[1] Rapporto tra pensione e ultimo reddito.
[2] Pari al 7,71% della Ral media dei dirigenti del terziario (106.000 euro).
[3] Circa il 36% per i dirigenti del terziario.
[4] 100% per gli iscritti al Fondo Mario Negri.
[5] 80% per gli iscritti al Fondo Mario Negri.