Uno dei temi più ricorrenti in questa fase è quello della “neonormalità”, intesa come ideale condizione di agio e serenità che si sarebbe interrotta nel 2019. È utile, tuttavia, riflettere per capire se la strategia migliore sia davvero attendere oppure se convenga usare questo tempo per rimbalzare in avanti, reinstallando il concetto di futuro. Qualche numero ci aiuterà nel ragionamento.
Una ricognizione sui corsi di vita
In Italia oggi vivono meno di 60 milioni di persone; eravamo più di 61 milioni, ma subiamo un degiovanimento dovuto all’abbinamento di longevità e denatalità. La famiglia italiana è sottile: una famiglia su 3 è composta da un single. I figli per coppia sono 1,27, ma ce ne vorrebbero 2,1 per avere una popolazione in equilibrio. I ragazzi diventano autonomi del tutto a 32 anni se femmine e 35 anni se maschi, anche perché in nessun paese al mondo ci sono tanti Neet (4 volte in più che in Svezia). I matrimoni durano meno di prima: ci si separa in età avanzata e il primo motivo consiste nell’instabilità economica.
Le separazioni lasciano un uomo su 6 e una donna su 4 in condizioni di vulnerabilità finanziaria. Lavora poco più del 52% dei 55-64enni, perché l’esperienza non viene valorizzata. Corriamo, di conseguenza, il rischio di passare alcuni anni in un limbo nel quale si è troppo vecchi per lavorare ma troppo giovani per andare in pensione. Il tempo di fine lavoro, infine, durerà a lungo, dato che l’incremento della longevità può portarci a passare più di 23 anni in un luogo chiamato pensione. Sarebbe peraltro bene mettere in ordine il proprio passaggio generazionale, per prevenire conflitti evitabili.
Questa carrellata iniziale ci aiuta a dire che le nostre vite sono attraversate da probabilità e imprevisti che richiedono consapevolezza e controllo sull’economia personale e familiare. È quindi necessario considerare il contesto nel quale ci si muove. In Italia i welfare previdenziali e assistenziali si basano sulla distribuzione di imposte e contributi tra chi lavora, finalizzata a erogare servizi e prestazioni che vanno dalla scuola pubblica alla sicurezza, dal Servizio sanitario nazionale alla previdenza pensionistica.
Piramide delle età
I grafici nella figura 1 mostrano le cosiddette piramidi delle età, che suddividono la popolazione per fasce di età. In blu è evidenziato chi lavora, in verde ci sono coloro che usufruiscono dei diritti e delle protezioni dello stato sociale. Il tema, come si vede, è “geometrico”: non ci sono soldi sufficienti per proteggere e promuovere il benessere di tutti, né oggi né, ancor meno, tra 20 anni. Che fare, quindi?
Pubblico e privato
Il dibattito pubblico, purtroppo, si concentra ancora poco su quanto abbiamo visto. Nel mercato finanziario e assicurativo le istituzioni richiedono alle imprese di far fronte ai propri impegni, con servizi affidabili, perché essenziali per il benessere dei consumatori. In questo senso, l’inserimento dello sviluppo dei servizi finanziari e assicurativi all’interno dell’ottavo Obiettivo di sviluppo sostenibile (8.10) conferma il rapporto tra mercato e bene comune. L’esito di questi princìpi ha portato alla direttiva europea Solvency II, entrata in vigore nel 2016, che ha istituito regole e controlli a garanzia degli impegni futuri verso gli assicurati.
La direttiva protegge i consumatori, intende evitare il fallimento delle assicurazioni e obbliga le imprese di assicurazione a simulare il comportamento delle proprie riserve dinanzi a diversi shock, dimostrando che dispongono di mezzi sufficienti, nel tempo, per fare fronte a forti crisi senza mettere a repentaglio le prestazioni assicurate. Si tratta, in pratica, di simulare crisi demografiche (mortalità, salute) o finanziarie (calo dei tassi di mercato o dei rendimenti) e di evidenziare concretamente la propria sostenibilità, utilizzando livelli di probabilità che si avvicinano alla certezza. Ne deriva che le compagnie di assicurazione non possono più sostenere rischi eccessivi né garantire rendimenti senza la certezza di poterli conseguire. In un’epoca di tassi negativi, questo modifica sostanzialmente le antiche modalità di gestione dei rischi finanziari offerte delle compagnie assicurative. In sintesi, le vecchie gestioni separate del Novecento, con le loro garanzie di rendimento e di immunizzazione dai rischi finanziari, non sono più sostenibili.
Esiti
Che piaccia o no, se fino a ieri gli Stati, i sistemi di welfare e le istituzioni del mercato si sono fatti carico dei rischi demografici e finanziari dei singoli cittadini-consumatori, oggi è sempre meno così e una parte di questi saranno presi in carico dai consumatori.
I rischi possono essere in ogni caso controllati grazie a tecniche di misurazione e valutazione che consentano a ciascuno di poter scegliere il livello di rischio che intende assumersi.
Oggi, infatti, le tecniche e i metodi a disposizione per valutare la propria sopportabilità alle perdite, la volatilità e il tempo minimo nel quale bisogna rimanere investiti sono diffuse e scientificamente sostanziate. Quello che non è più incorporato nei prodotti assicurativi diventa così il cuore di un servizio consulenziale professionale e utile. Tuttavia, in questo ragionamento c’è un vizio di fondo: il rischio è solo una minaccia e non un possibile alleato.
Il tema è spesso sottolineato dalla finanza comportamentale, che ci ricorda come siamo più sensibili alle perdite che ai guadagni. Quello che talora sfugge è che si può non scegliere, ma non si può non decidere. Semplificando, se la domanda è “rischio o non rischio?” nessuno rischia, specie senza avere un riconoscimento adeguato. Il tema, però, è molto diverso, e riguarda la decisione: mi assumo il rischio di investire nello sviluppo del mondo per far crescere il mio denaro? O preferisco assumermi il rischio di non farlo e quindi di perdere il potere d’acquisto, ossia metri quadri della casa che vorrei o un po’ del livello del percorso educativo che intendo offrire ai miei figli? Visto in questi termini, il solo motivo per non rischiare ci pare la sfiducia, ormai sotto il livello di guardia. Eppure, anche qui, conviene razionalizzare il tema, cambiando le lenti con le quali guardiamo al futuro.
La gestione del rischio sui mercati finanziari
Le figure 2 e 3 hanno il medesimo oggetto, anche se la prima rappresenta l’oscillazione di un mercato finanziario e la seconda le età medie dei vari paesi del mondo. Entrambe, infatti, rappresentano il mercato azionario mondiale, ma la prima offre una rappresentazione rituale e astratta, la seconda invece mette in luce che un mondo di giovani, con 264 milioni di studenti universitari, è in grado, al di là di oscillazioni di periodo, di svilupparsi, facendo al contempo crescere i miei denari, adeguatamente diversificati. Della prima figura possiamo fidarci poco, della seconda no. Il filosofo Galimberti ci rammenta che un falegname e un poeta vedono lo stesso bosco con occhi completamente diversi e così è per noi, riguardo al rischio e al mercato: se vogliamo, possiamo scegliere di indossare occhiali con lenti distopiche e rimpiangere, sommessamente, il tempo che non c’è più e le certezze piatte ma rassicuranti; se, diversamente, siamo orientati a gestire la contemporaneità e le sfide che di continuo si presentano, è tempo di assumere il controllo della propria economia, i propri rischi, i propri obiettivi, facendoci accompagnare da professionisti capaci di fornirci pro e contro delle diverse alternative e di aiutarci a coprogettare il nostro futuro. Questo è quello che dobbiamo fare, anche per evitare, come ammonisce Joseph Stiglitz, di commettere il grave errore di sprecare una crisi.