L’Italia possiede una miniera d’oro immensa: si chiama Big Data

L’Italia ha un immenso problema: non ha minatori

Stando ai dati di Enit, esiste un aumento del 77% di arrivi stranieri in Italia. Per l’estate 2017 i maggiori incrementi sono dalla Russia (dal 20% al 30%) dalla spagna (tra il 2% e il 25%), Austria e Ungheria (tra il 10% e il 15% entrambe), gli Usa e il Canada ( tra il 5% e il 15%) Cina (il 15%) e Corea (tra il 12% e il 20%). Il WTTC (World Travel & Tourism Council) stima che entro il 2027 il contributo portato al Pil italiano dal dal turismo supererà l’10%. Dati simili (aggiornati al 2016) provengono dal rapporto di Aribnb (la multinazionale americana che ha problemi a conteggiare le tasse da pagare al governo italiano, come riporta Business Insider): il 18% dei suoi ospiti sono nord americani, il 68% europei (dei quali 18% italiani, 14% francesi, 7% britannici), il 6% asiatici. Stime e cifre importanti che tuttavia hanno un vulnus evidente, e in continua crescita. 

Cosa rischia l’Italia
Il problema che ha l’Italia, come sistema paese, è il saper acquisire, processare e valorizzare i dati legati all’intero universo del turismo (che include anche tematiche legate alla agricoltura e attività artigianali). Di fatto, in mancanza di una strategia nazionale e un’opera di alfabetizzazione digitale, il comparto turistico italiano rischia di divenire schiavo di realtà straniere. Il Colosseo, Pompei, la torre di Pisa rischiano di non essere più proprietà valorizzabile dall’Italia. Sia chiaro non esiste un rischio plausibile che tali opere e aree vengano fisicamente sottratte all’Italia.
La sottrazione non sta nell’atto fisico, in questo caso, ma in quello virtuale. Per evitare confusione facciamo un esempio pratico. Quello che i turisti stranieri (e perché no anche quelli italiani) cercano è “L’Esperienza Italia”. Una miscela un poco caotica ma intrigante di culture, esperienze gastronomiche, paesaggi mozzafiato, 3.000 anni di storia (giorno più giorno meno), il sorriso di un popolo cordiale (quasi sempre), un calore che, a rischio di venir tacciato di diffamazione, non si trova in tutte le nazioni del mondo. I turisti, e la loro esperienza in Italia, hanno un valore economico ben comprensibile. Fornire loro un’offerta intrigante, che li catturi che li invogli a tornare, è una sfida che l’Italia sta subendo passivamente. Se un turista straniero vuole venire in Italia cerca prima su Google per comprendere che esperienze potrebbe fare. Poi prenota un volo o un trasporto via treno. In questo caso Edreams e Booking sono soluzioni utili: permettono di unire trasporto e albergo, con (a volte) un risparmio. Nel caso voglia soluzioni più informali o su mete meno coperte dagli alberghi potrà utilizzare Airbnb. Una volta in Italia, per comprendere se un ristorante sia valido (il famoso rapporto qualità prezzo) si rivolgerà ai consigli di amici (che può raggiungere facilmente via Facebook, LinkedIn, Twitter o Instagram), oppure su portali che si occupano di recensioni, come Trip advisor. Su questo e altri portali potrà prenotare il ristorante, porre la sua recensione ecc. Domanda. Tutte queste realtà sono italiane? No. Tutte queste realtà (o una buona parte) sono basate in America, hanno una sede in Irlanda (da cui come l’articolo del Business Insider spiega chiaramente, possono eludere le tasse italiane), e di fatto posseggono i dati dei turisti.
Dati grezzi che possono raffinare per creare profili (personas in gergo) per ottimizzare la loro esperienza di vendita di servizi o prodotti e, lungo la catena del valore, le aziende turistiche italiane rischiano di divenire delle semplici utility. Aziende che forniscono un servizio ma di cui si tende a ignorare il resto (si pensi alle aziende che danno il gas, acqua ecc.). Cosa può fare l’Italia e gli italiani per contrastare questa situazione. Per comodità scindiamo il problema Dati. Esistono i dati “pubblici” (non pubblici ma disponibili sui differenti social network), dati privati (quelli che raccolgono le piattaforme di prenotazione OTA, compagnie di volo ecc.). Si può creare una strategia sui primi, i dati pubblici? Sì e invero non ha un costo eccessivo (in proporzione alle risorse disponibili e ai risultati).

Posizionamento Seo
Un primo approccio è una strategia per il posizionamento sui motori di ricerca (in gergo SEO). I costi sono relativi a quali sono i risultati che si vogliono raggiungere, alla persona o agenzia a cui ci si rivolge. Purtroppo si deve ammettere che in rete si trova un po’ di tutto. Sia in termini di qualità, di capacità di portare risultati tangibili (che per una struttura alberghiera significa un aumento delle camere affittate). L’alternativa è fare da soli. Imparare le regole del Seo non è difficile. Basta prendere lezioni. Se non si vuole investire in un master specifico (anche in questo caso è da discutere quanto il prezzo corrisponda all’effettivo valore) si può puntare su siti di freelance che possono insegnare, con sessioni mirate, quello che serve. Un po’ come la differenza tra andare in un centro commerciale e andare dal macellaio. Tra tutti il sito Upwork è forse uno dei più validi. Con recensione per i singoli professionisti. È obbligatorio conoscere l’inglese (seriamente) se si vuole valorizzare al massimo l’esperienza e avere consulenti/docenti inglesi. Comprendere cosa cercano le persone/turisti per chiavi di ricerca, volumi di traffico, sotto categorie (idealmente è più facile diventare “leader” di una parola chiave focalizzata come “Spa di montagna”, rispetto ad un generale “hotel”).

Local Seo
Quando il turista si trova in situ ancora più importante sono le strategie di Local Seo. Un approccio mirato che permette alle singole strutture ricettive (con un focus sulla ristorazione, e altre esperienze localizzate dove il consumatore si trova). Il local Seo ha un focus maggiore sull’integrazione di una esperienza diretta e pressoché immediata. Semplificando se un turista si trova a Firenze e cerca “fiorentina” (la bistecca non il cittadino femminile) il ristorante che apparirà per primo nella ricerca di google avrà (circa) il 50% di possibilità di essere scelto. Il secondo 30% il terzo 20% e così via. Ora se lo stesso ristorante ha una posizione definita, dove sia possibile prenotare il tavolo, accedere al sito internet del ristorante (dove auspicabilmente si può prenotare) l’esperienza del turista consumatore sarà più veloce e diretta. Di fatto evitando, per esempio, un rifiuto. Facciamo un esempio. Il turista medio straniero non parla italiano. Posto che sia digitale (quindi abbia un cellulare connesso in rete) sarà spinto a utilizzarle lo strumento per migliorare e semplificare la “burocrazia” durante la vacanza. Nell’ambito di una prenotazione di un ristorante posto che trovi la scheda Google My business (uno degli elementi di Local Seo imprescindibili) sarà più facile per lui che non parla italiano prenotare on line. L’alternativa è chiamare il ristorante (che probabilmente non è sempre presidiato telefonicamente) contattare qualcuno (difficile credere che tutti i ristoranti italiani abbiano personale dedicato all’incoming che parli un inglese medio) e prenotare un tavolo. Il potenziale “rimbalzo” (bounce rate) sarà piuttosto elevato. 

Social
Discusso il Seo affrontiamo il tema social. Quanti sono i ristoranti, gli alberghi, i centri massaggi, le Spa che hanno una posizione presidiata ( significa attiva sia in termini reattivi che proattivi) su, per esempio, Facebook, Twitter e Instagram? Su Twitter è più sfuggente ma è utile per intercettare lamentele o temi di contenuti. Instagram è perfetto per il lato immagine (cibo, design, relax, hotel), Facebook serve per acquisire i dati delle persone e andare a cercarle (di fatto con una pianificazione mirata). Quante sono le strutture ricettive che hanno una strategia su Facebook e Instagram? Anche le grandi catene alberghiere hanno un personale ridotto in sede (di solito un social media manager che si destreggia su almeno le 3 piattaforme citate). Stessa domanda si pone per le strutture di ristorazione, i negozi “tipici” con prodotti artigianali ecc. Anche in questo caso una strategia coordinata Instagram Facebook può essere utile. Ora veniamo ai dati privati. Una definizione complessa ma per semplificare tutti quei dati che vengono acquisiti tramite piattaforme OTA (Online Travel Agency) come per esempio Booking, Edreams, Airbnb ma anche gli stessi motori di ricerca (Google). Dal momento che tutti questi dati (il cui valore è di fatto il vero valore strategico che l’Italia possiede) non sono in mano a strutture, organi pubblici o privati italiani. Quindi l’unica informazione che la struttura alberghiera, il negozio artigianale o l’agriturismo che vende online i suoi prodotti, possiedono, sono i dati della vendita di servizi o prodotti, tramite enti stranieri, senza avere una effettiva previsione di vendita. La situazione è molto grave. Di fatto sulle previsioni di vendita o affitto di camere si possono pianificare investimenti per l’ampliamento dell’offerta di servizi, maggiori fattori di produzione. Con questa lacuna l singole realtà possono solo tirare a indovinare. I meccanismi di promozione di una soluzione turistica, ricettiva, o di prodotto, restano segreti custoditi con attenzione dai singoli OTA che li valorizzano a loro esclusivo vantaggio.   

Come le singole realtà possono contrastare questo scenario
Di fatto allo stato attuale della legislazione italiana, non esistono strumenti, leggi o accordi che possano obbligare le singole OTA a diffondere i dati sia grezzi che raffinati. L’unica soluzione attuale è sperare che gli OTA vogliano condividere i dati. La discussione fatta sopra si applica anche per i turisti non occidentali. Vi è tuttavia da considerare che tali turisti (cinesi, russi) utilizzano altre piattaforme sia sociali sia OTA, quindi una strategia per acquisire questi flussi deve per forza passare dei social e le strategie SEO (anche in questo caso non è Google l’unica soluzione di motore di ricerca da considerare) differenti. In tal senso la Webtax (tutt’ora in discussione) potrebbe rivelarsi uno strumento utile per cambiare lo scenario. Di fronte all’obbligo (ipotetico finché non si sarà applicata la tassa) degli OTA di riconoscere le tasse in Italia, lo stato potrebbe prevedere uno sconto in cambio di dati completi da diffondere gratuitamente al settore turistico, a beneficio delle Pmi del settore che, di fatto non possedendo grandi sistemi di acquisizione di dati privati, possono ottenere dati di prima qualità grazie a cui pianificare le proprie strategie. 

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