In un bellissimo film, La grande scommessa, uno dei personaggi principali, Mark Baum (pseudonimo del vero Steve Eiseman), parlando con la moglie, dice “c’è una tempesta in arrivo e la gente se ne frega, va in giro come se fosse in un c…o di video di Enya…”. Perché qualcuno di voi non dà un’occhiata a come va in giro adesso la gente per le strade di New York, o, perché no, anche di Milano?
C’è una verità scomoda che con difficoltà riesco a leggere sui media. 10 anni fa c’è stato il crollo di Lehman Brothers. In 10 anni il sistema doveva aver imparato la lezione. Non lo ha fatto, anzi…
La crisi di 10 anni fa si sta riproponendo con le stesse criticità, anzi, con alcune situazioni e scenari che, a mio modesto avviso, sono ancora più pericolosi.
Partiamo da un grafico.
Ora, credo che questo grafico (al terzo trimestre 2017, scusate se non è aggiornatissimo) fa seriamente riflettere. I singoli tipi di prestiti sono tornati ai valori della crisi del 2008. In alcuni casi, come i prestiti per le auto o il debito studentesco, sono addirittura aumentati rispetto al 2008.
Sono certo (si fa per dire) che i dati aggiornati al terzo trimestre 2018 dimostreranno che i rispettivi debiti sono in netta decrescita. Ma se non fosse?
Ora consideriamo lo scenario del 2008. Tutti erano ottimisti (in America specialmente). La domanda di case era in crescita, le banche davano via soldi come se non ci fosse un domani. Già che c’erano, spesso, davano via soldi a tasso di mutuo immobiliare per spese accessorie (comprarsi gli elettrodomestici, arredamento ecc.). Dopo tutto le banche non si assumevano rischi, cartolarizzavano e scaricavano (pardon, vendevano) a terzi.
Ora una piccola parentesi storica
L’America non era sempre stata così innamorata dei prestiti. Dopo la crisi del 29, la prima crisi moderna di turbo capitalismo, vennero create leggi e soluzioni per ingabbiare la libertà delle banche. La più famosa legge del genere era la Glass-Steagall, risalente al 32-33. Di fatto era una legge post crisi che divideva le attività commerciali da quelle finanziarie all’interno del sistema bancario. Una legge che, per anni, riuscì a ridurre il rischio che chi vendeva soldi (prestiti) potesse poi specularci senza un’effettiva attività di controllo su chi si indebitava. Un presidente globalista (pardon del partito democratico), il signor Clinton, decise di abolirla (quanto meno le parti più limitanti dal punto di vista bancario). Quello che era una diga carica di acqua (per essere precisi di soldi liquidi pronti ad essere investiti) venne squarciata e il denaro facile inondò l’intera America. L’interesse delle banche non era prestare per la crescita ma per lucrare sugli interessi.
Un’analisi di un paio di giorni fa dell’economista Stigliz dipinge lo scenario attuale con dovizia di particolari.
C’è da ammettere che, al momento, l’economia americana sta tirando. Forse per merito di Trump, forse grazie a Obama, forse grazie a Dio. Anche l’economia pre-crisi 2008 tirava…
Ora consideriamo per un momento il post-crisi per comprendere quanto alcuni fattori che hanno alleviato la crisi del 2008 siano mancanti.
Fondi sovrani
Per farla semplice, dai paesi arabi ad ogni nazione che si era arricchita con la vendita di commodity (petrolio, gas, carbone sino a ferro e rame) i fondi sovrani entrarono con violenza salvando una serie di banche. Fu un “affare” per tutti: le banche americane oltre a mungere soldi al congresso, trascinarono dentro nuovi investitori. I fondi sovrani riuscirono a ripulire (pardon valorizzare) i loro soldi in qualcosa di bello e trasparente. Persino il crimine organizzato riuscì a riciclare un sacco di soldi (oltre 300 miliardi, secondo il Guardian) per salvare le banche e il sistema dal collasso.
Certo, a pagare furono chiamati i poveri, gli insegnanti e altre classi meno abbienti che, di fatto, erano stati usati come strumenti per generare la domanda di prestiti da rivendersi a botte di cartolarizzazione. Ma, tutto sommato, non si può fare una frittata senza rompere qualche uovo.
Nel 2008 ci furono le reti di salvataggio del crimine organizzato, fondi sovrani e stati. Tutti a buttare dentro soldi nel buco nero creato dalle banche d’affari. E oggi?
Immaginiamo, solo per il puro piacere di teorizzare, che arrivasse adesso una crisi come quella del 2008. Tutto sommato i livelli debitori (che non sono l’unico indice che si deve considerare, bene inteso) sono gli stessi del 2008.
I salvatori come i fondi sovrani potrebbero tornare a salvare le banche?
No. I fondi sovrani sono in crisi. Lo stesso fondo saudita ha qualche anno fa prosciugato la sua posizione in Aberdeen Asset management (si parla di decine di miliardi!). La ricchezza derivata dalla vendita di materie prime (in iper domanda grazie alla fase speculativa di produzione vendita inserite nel macro ciclo del real estate americano) si è prosciugata.
La Cina, sempre pronta a scaricare dollari, sta spendendo miliardi nel suo progetto di Obor, specialmente ora con la guerra dei Dazi, difficile pensare che andrebbero a investire nelle banche Usa (con il rischio che Trump blocchi l’investimento, non si sa mai cosa vuol fare il biondo!).
Non si hanno informazioni se il crimine organizzato possa avere interesse a riciclare altri proventi nelle banche. In effetti, questa ultima categoria, potrebbe avere ancora molta liquidità.
Gli stati egualmente, specie con la recente ondata di partiti e voti a destra (quello che generalmente viene definito movimento nazionalista o sovranista) non sono nella posizione di prestare altri soldi alle banche. Invero, molti stati stanno ancora facendo i conti con i costi sociali della crisi.
La domanda che ci si può porre è chi o cosa potrebbe innescare la crisi. Il candidato migliore sono sicuramente gli Usa. Come il grafico sopra mostra, il livello debitorio è uguale al 2008. In aggiunta, la crescita economica americana è un lodevole mix di dati corretti e analisi “allegre”.
La Cina è da escludere. Non che sia messa bene, ma il mito della bolla immobiliare cinese è quasi vecchio quanto la Cina stessa. La Cina ha la apprezzabile dote di poter allegramente alterare i mercati (dalle iniezioni di capitali nella borsa, al congelamento dei debiti). Quindi, per quanto possa suonare una bestemmia, è ben difficile che non possa controllare la sua economia.
Africa e Centro Asia sono ininfluenti. Il l’America Latina non è una economia che può veramente cambiare gli assetti. Diciamo che le periodiche crisi latine sono più una continuità che un’emergenza. Dopo l’America solo l’Europa, con i suoi mercati finanziari sofisticati, può essere l’altra miccia per una seconda crisi. Specialmente con la fine del mandato Draghi e l’arrivo, tra pochi mesi, di un nuovo commissario che, così a intuito, sembra avere una visione differente dall’Italiano.
Una cosa è certa, qualunque sarà l’arrivo della crisi, allo stato attuale, l’Italia e gli altri paesi mediterranei sono impreparati a reggerla.