Il fallimento di Jamie Oliver cosa ci insegna?

Il popolare chef chiude la sua catena di ristoranti di cucina italiana

La notizia era nell’aria da tempo, ma la conferma ufficiale è arrivata pochi giorni fa: Jamie Oliver chiude la sua catena di ristoranti. La società, che lo scorso anno è stata salvata dalla bancarotta grazie a un investimento di quasi 15 milioni di euro da parte dello stesso Oliver, è ora in amministrazione controllata. Il prossimo passo sarà la chiusura di 22 dei 25 ristoranti del gruppo, con la perdita di circa 1.000 posti di lavoro.

Da cosa deriva il fallimento di uno dei più celebri, e mediatici, chef britannici?

In qualche misura Oliver è vittima di se stesso. Ha, infatti, aperto la strada alla dieta mediterranea nella terra del fish & chips. Così, sulla sua scia, si sono moltiplicati i locali che propongono cucina italiana e lo fanno in maniera più “ortodossa” di colui che ha fatto da apripista. Insomma mentre quella di Oliver è rimasta una cucina “all’italiana” (con ricette come il pollo al mattone!), sono comparsi ristoranti e pizzerie che offrono piatti (più) autentici. 

Va, poi, detto che, anche all’interno del contesto londinese, i prezzi di Jamie’s Italian non sono esattamente convenienti. Il pollo al mattone di cui sopra, per esempio, costa quasi 16 sterline mentre per una pizza calabrese, con ‘nduja e peperoni, si spendono 13.50 sterline.

Da parte sua Oliver addossa le responsabilità a una serie di fattori esterni, quali la Brexit e l’aumento dei prezzi dei prodotti importanti dell’Italia. Elementi che probabilmente avranno inciso. Ma allora perché gli altri ristoranti italiani, pur non godendo delle economie di scala di Jamie’s Italian, non attraversano le stesse difficoltà?

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