Greta vs Trump: c’è un gap cognitivo

Di questo "disallineamento" ha parlato il portavoce di ASviS Enrico Giovannini a un recente incontro di Prioritalia, evidenziando il divario generazionale rispetto all'ambiente e il ruolo dei manager per affermare la sostenibilità delle aziende sia all'esterno che all'interno

L’avvio del forum di Davos 2020 verrà ricordato per le contrapposizioni tra le posizioni di Donald Trump e quelle di Greta Thunberg. Il presidente degli Stati Uniti ha enfatizzato i risultati economici e il primato raggiunto dagli USA come produttore di energie fossili, criticando i “profeti di sventura e le loro previsioni di apocalisse”. L’attivista svedese ha ricordato come, nonostante la crisi ambientale sia diventata una priorità, nell’ultimo anno non sia stato fatto nulla di concreto per ridurre gli impatti negativi delle attività umane, continuando a trascurare gli avvertimenti degli scienziati.



Tra le cause del divario ci potrebbe essere un “gap cognitivo” che impedisce al settantaquattrenne Trump di comprendere le ragioni della diciassettenne Greta.
Un ritardo che i decisori politici ed economici, in maggioranza babyboomers, non riescono a comprendere ed affrontare, come lamentano i giovani che si mobilitano in tutto il mondo chiedendo un cambiamento dei modelli di sviluppo.



Secondo Enrico Giovannini, portavoce di ASviS, l’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile “Domandarsi chi ha ragione tra i due è una questione ineludibile. Per affrontare il futuro dobbiamo porci questo problema: se estrapoliamo dal passato le tendenze per misurare i risultati delle attività economiche difficilmente riusciremo a cogliere la velocità del cambiamento e gestire la transizione verso la sostenibilità”.



Giovannini è intervenuto sull’argomento durante il primo incontro del ciclo di alta formazione dedicato a manager e analisti finanziari sulla valutazione della sostenibilità, organizzato da Prioritalia con AIAF, Associazione Italiana per l’Analisi Finanziaria, e ospitato nella sede federale di Manageritalia a Roma il 17 gennaio, commentando tra l’altro i risultati del Global Risks Report 2020 del World Economic Forum.


Il rapporto, che per la prima volta ha messo a confronto la percezione sui rischi per il futuro non solo dal punto di vista degli stakeholder – leader ed esperti – ma anche da quello dei global shapers – la generazione emergente di imprenditori e leader sociali globali – evidenzia come le previsioni dei giovani circa la gravità dell’impatto del degrado ambientale siano nettamente più pessimistiche di quelle gli adulti e anziani. [v. Report].



“O i giovani sono estremamente emozionali e vedono i rischi in maniera eccessiva, magari a causa del battage pubblicitario o di iniziative come il Friday For Future oppure c’è ritardo cognitivo legato all’età tra i decisori e gli esperti – ha dichiarato Giovannini – Uno degli elementi che spiegano questa divergenza sta nel fatto che noi siamo stati formati nel credere che l’economia venga prima di tutto e che sia quindi anche accettabile generare, come accade in Europa, mezzo milione di morti all’anno per malattie legate all’inquinamento in nome dello sviluppo, salvo poi trovarci nelle situazioni delle grandi città o di tutta la pianura padana di queste settimane”.



Da qui, l’invito ai manager e agli analisti finanziari ad “immaginare nuovi modelli per considerare l’impatto delle proprie attività non solo sui prodotti o sui servizi ma anche sulla società, sull’ambiente, sulle persone”. Modelli che iniziano a essere adottati dalle grandi imprese internazionali, viste anche le ricadute positive, come spiega Marcella Mallen, presidente di Fondazione Prioritalia, nelle dichiarazioni rilasciate insieme a Enrico Giovannini e Alberto Borgia, presidente di Aiaf.

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