Creare partecipazione, disegnare condivisione, inspirare immaginazione, generare adattabilità, distribuire equità, coltivare trasparenza e produrre accesso. Ecco come devono essere le nuove città aperte secondo la mappa (da scaricare integralmente) delle Seven visions of open cities dell’Institute for the Future di Palo Alto. Un ottimo lavoro, ricco di esempi, che vale la pena di leggere anche se il proprio core business non è amministrare o rilanciare città. Il tema è noto (o dovrebbe).
Nei prossimi dieci anni le città cambieranno radicalmente: alcune in meglio altre in peggio. Il peggio riguarda le città in stato di “decomposizione” sociale, vecchie glorie della civiltà industriale che non innovano e non attirano le nuove classi creative che stanno ridisegnando l’economia globale.
Il meglio è l’esatto contrario. Luoghi che sono “better place” per studiare, lavorare, giocare e vivere nuove sfide. Certo ci vuole un “maker mindset, infrastrutture tecnologiche e sfide concrete (urgenze della città) come sottolinea l’IFTF, ma non solo. Ci vuole anche una chiara visione e vocazione individuata ed esaltata.