Fisco: una riforma per attrarre investimenti e creare lavoro

Qual è il ruolo della fiscalità nella crescita e nello sviluppo sostenibile? Lo abbiamo chiesto ad alcuni rappresentanti degli schieramenti politici. Ne parliamo oggi con l’onorevole Giulio Centemero, capogruppo Lega VI Commissione Finanze

La palla al piede del debito pubblico è uno dei freni alla crescita del Paese. Che fare?
«Credo che in un periodo di alta inflazione come quello attuale la prospettiva certamente cambierà, ma non possiamo trascurare il tema. A mio giudizio, è innanzitutto necessario avere un’idea chiara dell’origine del debito, per poi mettere in atto una gestione razionale e anticipatoria. Credo inoltre che l’accorpamento del “vecchio” ministero del Tesoro a quello delle Finanze non abbia giovato a tal fine; è essenziale e prioritario trovare una soluzione».

La crescita del Pil del 2021 ci ha permesso di abbattere il rapporto debito Pil al 150,8% (-4,5%) è quindi questa la strada maestra?
«La crescita è importante, in questo come in altri campi, perciò dobbiamo eliminare gli ostacoli più immediati come una tassazione eccessiva e troppa burocrazia. Una riforma fiscale improntata alla Flat Taxation anche per i lavoratori dipendenti – grazie alla Lega già due milioni di partite Iva ne godono – e alla pace fiscale, più altre misure di semplificazione, porterebbero a una sicura crescita economica del Paese».

A livello di spesa pubblica, cosa si può fare? Ci sono dei margini, dove e come?
«In qualità di revisore dei Conti ho imparato che i margini ci sono sempre, come nella crescita personale, si può sempre migliorare. Dobbiamo seguire i principi dell’accountability, che fanno rima con responsabilità. Costi standard, autonomia, federalismo, sono le risposte per una spesa pubblica efficiente che possono produrre risultati misurabili per le cittadine e i cittadini».

Anche la fiscalità è uno dei fattori per incidere sul debito. Cosa pensa della riforma fiscale appena approvata?
«Se ci si riferisce alla delega fiscale, che comunque non è ancora stata approvata, a mio avviso non porta significativi miglioramenti. Aggiungo che senza l’intervento deciso della Lega su questo provvedimento avremmo anche assistito a un aumento delle imposte su casa e risparmi».

In una recente indagine sui 38mila manager associati a Manageritalia, il 90% dei rispondenti richiede una riforma del fisco universale e strutturale, con un prelievo uguale per tutti i redditi e le categorie. Cosa ne pensa? È possibile andare in questa direzione?
«Assolutamente sì. Una flat tax per tutti, certa e stimabile nell’ottica della certezza del diritto sarebbe un volano per la nostra economia. Sottolineo l’aspetto della certezza del diritto, poiché spesso investitori domestici e internazionali rinunciano a operare nel Belpaese a causa della complessità del nostro sistema fiscale. Un sistema chiaro attrarrebbe investimenti freschi e creerebbe posti di lavoro a tutti i livelli, compreso quello manageriale».

E poi c’è l’evasione. Un vero e strutturale recupero dell’evasione non potrebbe spingere la crescita e migliorare la forza di una sana concorrenza?
«Assolutamente sì. Purtroppo ad oggi le attività di accertamento mirano a chi comunque le imposte già le paga mentre è necessario mettere a punto un sistema di accertamento per identificare gli evasori totali. Serve uno sforzo serio e concreto in quest’ultima direzione».

Il risparmio è uno dei più formidabili carburanti per lo sviluppo, ma noi non lo usiamo. Infatti, gli oltre 5.000 miliardi di ricchezza finanziaria delle famiglie e delle imprese italiane, di cui 1.800 miliardi fermi sui conti correnti, vengono investiti per il 75% all’estero e, come ha ricordato di recente il governatore della Banca d’Italia, solo il 5 per cento viene investito in imprese italiane. Che fare?
«Come Lega, nel primo decreto crescita della ormai scorsa legislatura (di cui fui relatore), inserimmo la detassazione per gli Eltif, che poi per ragioni di compliance normativa comunitaria sono stati circoscritti nell’ambito dei Pir alternativi. Abbiamo puntato alla leva fiscale per spingere l’investimento del risparmio privato sull’economia reale. Oltre a ciò, quest’anno anno, grazie a un nostro emendamento in finanziaria abbiamo salvato il credito d’imposta per le quotazioni in borsa delle pmi. Le pmi quotate su Euronext Growth Milano infatti sono il target di investimento tipico dei gestori nostrani. Abbiamo insomma voluto ampliare il portfolio investibile delle pmi italiane. Ma questo non basta. Serve una piccola rivoluzione culturale che trasformi in abitudine l’investimento del proprio risparmio in strumenti finanziari a supporto delle imprese. A tale fine ho in mente un provvedimento che istituisce l’inserimento dell’educazione finanziaria nelle nostre scuole e se verrò rieletto sarà la prima proposta di legge che presenterò nella prossima legislatura».

Abbiamo, quindi, un mercato finanziario, la borsa e altri tipi di finanziamento alle imprese, asfittico e incapace di supportare la crescita delle imprese e del Paese. Non da meno abbiamo la governance di troppe aziende poco strutturata e trasparente che allontana l’accesso al mercato e ai finanziamenti di terzi. Perché e cosa fare?
«Affinché i mercati siano efficienti e procurino liquidità alle imprese vanno eliminati gli ostacoli, innanzitutto quelli all’investimento, quali le misure asimmetriche e distorsive come la Tobin Tax Italiana, un’imposta di derivazione comunitaria ma che viene applicata solo in Italia e parzialmente in Francia. Sia i dati del MEF che uno studio di Ambromobiliare dimostrano come la stessa penalizzi il settore finanziario italiano senza portare di fatto nulla di significativo all’erario. Se l’obiettivo iniziale del governo Monti era quello di portare gettito per un miliardo di euro, possiamo affermare con la massima tranquillità e sicurezza che l’obiettivo non è stato raggiunto. I dati del 2017, 2018, 2019 e 2020 ci mostrano un trend di introito erariale in decrescita: da 432 milioni a 196 milioni. Per non parlare dei volumi azionari scambiati alla Borsa di Milano che dal milione e ottanta scendono costantemente a 346mila nel 2020. Con questo balzello le nostre imprese hanno perso una mole significativa di liquidità. La governance e l’attrattività delle nostre imprese migliorerebbe significativamente se più imprese si quotassero: la quotazione infatti prevede non solo regole di maggior trasparenza ma anche la presenza di amministratori indipendenti e altre professionalità che migliorano la governance e anche le performance delle aziende».

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