Poco più del 13% dei contribuenti, quelli con redditi dichiarati da 35mila euro in su, versano il 58,86% dell’Irpef, sostenendo sostanzialmente il peso del finanziamento del nostro welfare State: questi numeri confermano ancora una volta la necessità di interventi di riequilibrio di un sistema fiscale iniquo ed inefficiente e occorre tenerne conto in vista della riforma fiscale che il Governo ha messo in cantiere. Lo ha detto Mario Mantovani, presidente di Cida, la confederazione dei dirigenti pubblici e privati e delle alte professionalità, commentando le anticipazioni dell’analisi condotta dal Centro studi e ricerche Itinerari Previdenziali a partire dalle dichiarazioni dei redditi riferiti all’anno di imposta 2019, rese nel 2020.
“Le cifre non mentono mai, e vanno evidenziate nel momento in cui si vuole mettere mano ad una riforma “strutturale” del nostro fisco: allargando lo scenario di riferimento, i contribuenti che dichiarano redditi da 29.000 euro in su, sono solo il 21,18%, ma coprono il 71,64% dell’intera Irpef. Cida ha presentato le sue proposte in un documento consegnato al Parlamento durante le audizioni sulla riforma fiscale, nel segno della semplificazione e della giusta progressività, per rendere il sistema più efficiente, equo e coerente con i principi di solidarietà e uguaglianza.
Negli ultimi anni la pressione fiscale si è accresciuta notevolmente soprattutto sulle fasce di reddito medio-alte: dal 2008 al 2019 il prelievo (Irpef + addizionali regionali e locali) è aumentato per i dirigenti e per i quadri rispettivamente del 2,3 e 2,5%, ed è diminuito per gli impiegati e gli operai rispettivamente del 20,7 e 48%. L’incidenza di Irpef e addizionali sulla retribuzione imponibile, cioè l’aliquota media, secondo i dati in nostro possesso, dal 2008 al 2019 è passata dal 38% al 38,9% per i dirigenti, dal 32,2% al 33% per i quadri, mentre è scesa dal 20,9% al 16,6% per gli impiegati e dal 15,7% all’8,2% per gli operai. Una situazione insostenibile che, alla lunga, può avere conseguenze non solo economiche, ma anche sociali.
C’è un’ultima riflessione che viene suggerita dalle tabelle e dai dati dell’Osservatorio di Itinerari Previdenziali. Quando si scava fra le categorie di contribuenti, i loro scaglioni fiscali, le loro aliquote, i loro versamenti, oltre a rendersi conto dei bassi livelli retributivi, si palesa anche l’incongruità della ‘vecchia’ distinzione fra lavoro dipendente e lavoro autonomo. Categorie di un altro secolo, che forse giustificavano un certo sospetto di favore fiscale nei confronti dei lavoratori autonomi, ma che ora fanno parte della storia del diritto del lavoro, non certo di una realtà fatta di tanti lavori, spesso poco qualificati e poco pagati, di negozi chiusi, di e-commerce, di sterili dibattiti sul lavoro domenicale. Ecco, mentre si lavora alla riforma del fisco e si imposta la prossima legge di bilancio, vorremmo meno dibattiti e più proposte per far crescere le imprese, il lavoro qualificato e la sua remunerazione e consentire ai nostri giovani preparati di trovare occasioni professionali in Italia, con stipendi adeguati e un sistema di welfare che incoraggi la natalità e prepari alla pensione”, ha concluso Mantovani.