Nel corso degli ultimi mesi il mercato del lusso ha registrato numerose mergers and acquisitions. L’operazione più recente riguarda Tapestry. L’azienda americana, a cui fanno capo Coach, Kate Spade e Stuart Weitzman, ha acquistato Capri Holdings, che a sua volta possiede Versace e Michael Kors.
Ma c’è stata anche l’acquisizione da parte di Kering del 30% di Valentino. L’accordo prevede un’opzione a favore di Kering di ottenere il 100% del capitale sociale di Valentino entro il 2028. E poi la conglomerata svizzera Richemont ha rilevato una partecipazione di controllo nella griffe italiana Gianvito Rossi e Kering Beauté, neonata divisione cosmetica del colosso guidato da François-Henri Pinault, ha fatto proprio il 100% del marchio di profumeria Creed.
Da cosa deriva tanto fermento? Quali sono le ragioni alla base di queste attività? Prima di tutto va detto che non si tratta certo di un fenomeno nuovo. È ormai da alcuni anni che si assiste a un processo di concentrazione, tanto che oggi il mercato del lusso è sostanzialmente spartito tra tre grandi gruppi (Lvmh, Kering, Richemont). A questi si aggiungono altre realtà, di dimensioni un po’ più piccole ma che ugualmente aggregano vari marchi. È il caso, per esempio, dell’italiana Otb, che vuol, tra gli altri, Marni, Jil Sander e Maison Margela,
I motivi alla base di questo fenomeno sono almeno tre:
1. fare massa critica. Per incidere sul mercato a livello globale occorre avere un sostegno finanziario (e non solo) forte, che solo un gruppo può assicurare. Ecco perché molti brand indipendenti a un certo punto del loro percorso “cedono” alle avances della conglomerata di turno. È accaduto, in passato, a Fendi, Gucci, Balmain. È accaduto, di recente, a Gianvito Rossi.
2. diversificare. Avere nel portafoglio brand diversi in termini di offerta, immagine e posizionamento consente di soddisfare le esigenze di differenti segmenti di consumatori. E quindi di ampliare e diversificare il target. Non solo: nel caso in cui un brand – o una categoria – non funzioni, si possono bilanciare le perdite con le performance positive di in altro brand o di un’altra categoria. Così, per esempio, se – come è accaduto negli ultimi 3 anni – l’abbigliamento e le calzature formali soffrono, dall’altra parte lo streetwear e le sneakers vanno alla grande. Insomma, l’andamento negativo degli uni è compensato dal successo degli altri.
3. puntare sulle sinergie. Avere un portafoglio ampio significa poter sviluppare in house – senza cioè coinvolgere altre aziende del settore – capi in edizione limitata che nascono dall’unione di due brand. È ciò che hanno fatto Kering con la capsule collection firmata da Gucci e Balenciaga e Lvmh con linea di valigie realizzata da Rimowa e Dior. Di fatto questo tipo di iniziative consente da un lato di fare hype, in quanto si crea un clima di attesa intorno al lancio della collezione, e dall’altro lato di allargare il target, in quanto si intercettano i consumatori di entrambi i brand.