Criptovalute: siamo un po’ meno criptici

Nate tempo addietro, sono balzate oggi agli onori della speculazione e della cronaca. Anche le banche centrali se ne vogliono fare una. Ne parliamo con l’esperto Stefano Capaccioli, per fare chiarezza e capire come ci possano essere utili come cittadini e manager

Chi di noi non ha un amico o conoscente che ha investito, anche solo per gioco, in Bitcoin? Ormai ne abbiamo sentito parlare tutti come fonte di grandi guadagni, ma anche di profonde perdite di valore. Elon Musk le ha adottate come moneta utile a comperare la Tesla, ma poi ha fatto marcia indietro. Insomma, come stanno le cose? Dialoghiamo su questo con Stefano Capaccioli, dottore commercialista, revisore legale, pubblicista, cultore in Informatica giuridica avanzata UniMi, che ha appena pubblicato un libro sul tema, Criptoattività, criptovaluta e bitcoin (Giuffré Francis Lefebvre).

Quando nascono le criptovalute e perché?
«Le criptovalute nascono dal Bitcoin, primo esperimento di sistema decentralizzato e disintermediato, proposto da uno pseudonimo e implementato nel 2009. Il sistema ha funzionato, esattamente come ora, per oltre un anno e mezzo, senza che il Bitcoin avesse alcun valore, né avesse alcuna aspettativa di valutazione. Neppure i primi utenti/sviluppatori hanno posto in essere azioni per conferirgli un valore. 
Il Bitcoin è una valuta virtuale senza alcun valore (valueless virtual currency), con il termine valuta che deve essere inteso in senso a-tecnico: è il mezzo di transazione della prima rete disintermediata e decentralizzata. Con il tempo, lo sviluppo e la diffusione, è emersa (nel senso di Mintzberg) la possibilità di utilizzo come mezzo di scambio (prima), poi della possibilità di costruzione di un’infrastruttura di scambio senza intermediari».

Sono una moneta anche se non hanno dietro una banca centrale che ne garantisca il valore?
«Non sono una moneta: sono un sistema diverso che segue logiche differenti. È più un cambio di paradigma che, se avrà successo, ci costringerà a rivedere assiomi e postulati su cui abbiamo costruito il sistema di relazioni. Il fatto che contengano il termine valuta non impone di doverle considerare come tali: il pescecane e il pesce gatto non sono animali domestici perché contengono nel nome il termine cane e gatto».

Noi come cittadini come dobbiamo approcciarle?
«Con curiosità e voglia di imparare, senza voler speculare o farsi attrarre da facili guadagni. In primis, serve conoscenza, dato che prima di acquistare occorre essere pienamente consci dei rischi, delle potenzialità e delle minacce. Il sistema cerca di riportare l’individuo nel possesso dei suoi averi, ma ciò comporta necessaria competenza e attenzione: diffidate quindi di chi cerca di vendere solleticando la parte speculativa. Warren Buffett sentenziò che “nulla seda la razionalità come grandi dosi di denaro facile” e, conseguentemente, invito a un approccio cauto e ragionato».

Porteranno forti trasformazioni nei sistemi di pagamento, risparmio e investimento?
«Probabilmente sì, poiché è stato dimostrato che potrebbero non essere necessari intermediari: con questo non voglio sostenere che questi saranno inutili, ma una sana competizione porterà anche il sistema finanziario a un necessario aggiornamento, dato che finora non era possibile farne a meno. Il sistema tradizionale ha la possibilità di dimostrare la sua efficienza ed efficacia sulla spinta della concorrenza decentralizzatrice e disintermediatrice o di poter beneficiare delle innovazioni: certo che l’atteggiamento reazionario e conservatore tenuto fino ad oggi non appare consono».

Oggi anche le banche centrali pensano a una criptovaluta, ma la centralizzazione e garanzia di un solo soggetto non è il contrario della logica su cui si basano le criptovalute?
«Le banche centrali stanno riflettendo in merito alle Central Bank Digital Currency, il cui substrato tecnologico è ancora in discussione: presumibilmente non avranno elementi di contatto con le criptovalute, anche se lo pseudoanonimato dovrebbe essere una caratteristica per l’usabilità. La People’s Bank of China ha pubblicato il proprio whitepaper E-CNY, cercando di bilanciare anonimato e centralizzazione».

Insomma, come manager dobbiamo aspettarci di vedercele come sistema di pagamento da parte dei clienti e quindi come valuta nel conto economico?
«È possibile che clienti o determinate transazioni possano avere quale sottostante le criptovalute o, meglio, le criptoattività: ribadisco che le criptovalute (come più di una volta sottolineato anche dalla Banca Centrale Europea) non sono né valuta né moneta, ma qualche cosa di diverso. I principi contabili internazionali conducono verso la loro esclusione dal novero delle valute, ovvero delle monete, quindi non le troveremo lì».

Cosa c’è da sapere ancora per non subire le criptovalute, ma, nel caso, utilizzarle al meglio?
«Ogni innovazione può essere rifiutata e poi subita, o studiata e poi gestita. Ogni impresa dovrà fare verifiche interne per analizzare se e come potrà ottenere benefici».

Se e quando faremo la spesa con le criptovalute, quali vantaggi ci saranno?
«Le evoluzioni e rivoluzioni dei mercati non sono programmate da piani di sviluppo quinquennali di sovietica memoria: il mercato decide e si muove. La bellezza di questi cambiamenti è che non sono lineari e sono difficilmente prevedibili. Probabilmente ci troveremo a fare la spesa via chat senza accorgercene, come del resto abbiamo iniziato a usare i sistemi di messaggistica per telefonare».

Sarà un successo o l’ennesima bolla?
«Il fatto che siamo qui a parlarne, a interrogarci sulle evoluzioni del mercato e sulle tendenze tecnologiche è già un successo, poiché nuovi modelli di business stanno apparendo: l’umanità è andata avanti a strappi, tra bolle e sviluppi: chi si ricorda la bolla delle dot com?».

Con Stefano Capaccioli abbiamo organizzato recentemente il webinar Bitcoin: ritorno al futuro? Guardatelo.



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