Confcommercio: terziario vitale per competere e crescere

Dal rapporto Terziario Futuro 2020, presentato ieri a Milano, emerge con forza la necessità di abbandonare tutti le lotte di retroguardia e puntare con forza a innovare in tutti i campi. Nei nuovi modelli di business saltano i vecchi schemi e industria e terziario si fondono per creare valore anche grazie al digitale. Il “Made in Italy” ha bisogno del terziario per mantenersi competitivo grazie a formalizzazione del valore, gestione country-specific, legame produzione/vendita, servizi knowledge-intensive. Serve quindi un piano più economy che industry 4.0, e il rischio è quello che troppe aziende investano solo nel “digitale generico”, slegate da una chiara strategia digitale volta a ridefinire e innovare i modelli di business.

«Oggi saltano i confini settoriali che separavano industria e terziario. L’innovazione non è più monopolio dell’industria ed è frutto di un’inedita coabitazione tra materiale e immateriale che cambia il significato attribuito tradizionalmente all’industria e al terziario. Questo ha conseguenze dirompenti sull’assetto della rappresentanza imprenditoriale e sindacale, ancorata tuttora a confini settoriali e geografici che derivano dal secolo scorso e non reggono più». Così Francesco Rivolta, direttore generale di Confcommercio, ha aperto ieri mattina a Milano i lavori di presentazione dello scenario Terziario Futuro 2020 a cura di CFMT, il Centro di Formazione Management del Terziario costituito nel 1994 dalla Confederazione del Commercio e Manageritalia.

Lo scenario costruito con il metodo Delphi e l’apporto di dieci esperti in vari campi guarda al 2020, un tempo limitato, ma foriero di grandi evoluzioni vista l’attuale velocità del cambiamento. Su tutto emerge questa nuova realtà dell’economia dove nella nuova divisione del lavoro, tra processi materiali e immateriali, l’industria tende a terziarizzarsi (arricchendo l’offerta di servizi proposta al mercato) e il terziario ad industrializzarsi (cercando di codificare e di fare economie di scala nella gestione dei servizi, dei dati e delle conoscenze). Insomma, una nuova realtà che richiede nuove chiavi di lettura e d’azione, dove il business è guidato dal servizio e dal rapporto con il cliente.

«L’evoluzione economica in atto» ha detto Guido Carella, presidente Manageritalia «richiede sempre più managerialità, grazie a manager capaci di innovare a livello organizzativo, dando ruolo e motivazione alle persone per portare le aziende a pieno titolo nelle varie catene del valore globali, e di business. In questo senso il nostro contratto dirigenti del terziario, frutto di un’intelligente partnership con Confcommercio, è un facilitatore, ampiamente flessibile e capace di incentivare l’ingresso e la permanenza di validi manager in azienda. Non devono esserci più scuse per affiancare all’imprenditore e al management familiare validi manager esterni, pena l’incapacità di crescere. Il ruolo della rappresentanza, dei corpi intermedi, è vitale per far ripartire e crescere il Paese diventando soggetto di una nuova mediazione volta ad dare forza al cambiamento favorendo chi lo può guidare e stimolare e supportando chi non può di certo essere abbandonato a se stesso».

Carella e Rivolta hanno entrambi ribadito in chiusura dei loro interventi come «Per tutti i soggetti collettivi, ma specialmente per chi fa della rappresentanza imprenditoriale, del lavoro e sociale il suo “mestiere”, si apre oggi un campo di azione decisivo: portare avanti le grandi trasformazioni dei modelli di business, dei modi di lavorare, delle forme di scambio, comunicazione e commercializzazione».

«Il CFMT diventa oggi ancor più – ha detto Pietro Luigi Giacomon, presidente CFMT – un potente strumento di crescita per tutti quei manager e quelle aziende che forti del Ccnl dirigenti del terziario potranno trovare l’innovazione che ci ha da sempre contraddistinto a livello formativo e culturale. Una vera community dove condividere le linee guida per innovare i modi di fare e gestire business, dove lo scambio tra grandi e medie aziende diventa fattore reciproco di crescita anche per l’economia nazionale».

Evidenza di questi mutamenti è uscita con forza dallo scenario Terziario Futuro 2020 costruito con il metodo Delphi e l’apporto di dieci esperti in campo economico, tecnologico e organizzativo. Tra le maggiori evidenze, a livello economico emerge che il “Made in Italy” necessiterà del terziario per potersi mantenere competitivo grazie a formalizzazione del valore, gestione country-specific, legame produzione/vendita, servizi knowledge-intensive e la necessità di fare “massa critica” sulle competenze organizzative stimolerà alleanze e partnership. I consumatori, forti dell’esperienza dell’e-commerce, alzeranno drasticamente le attese di uno stesso livello di servizio on e off line. L’e-commerce sarà sempre più complementare, piuttosto che killer, del negozio tradizionale, che evolverà in punto di intrattenimento, di ritiro, di consulenza e informazione sofisticata. Il Piano Industria 4.0 – pur apprezzato dagli esperti – si rivelerà sbagliato concettualmente, per la nuova realtà di business che sta emergendo, e limitato nel suo impatto visto che molti investimenti saranno nel “digitale generico”, slegati da una chiara strategia digitale. Molte piccole imprese ne saranno poi escluse per mancanza di fiducia e capacità di collaborazione tra gli attori coinvolti. In un contesto quale quello italiano, così povero di mentalità e competenza digitale, sarà quindi determinate il ruolo di stimolo dell’attore pubblico, che dovrà basarsi sulla promozione della cultura digitale e sulla trasformazione della P.A. Altro limite sarà la mancanza da parte di molte imprese delle competenze per utilizzare la sempre più ampia disponibilità di Big Data.

Parlando di lavoro la sostituzione tecnologica delle persone lenta nel breve periodo, muterà poi rapidamente per la maggiore offerta di tecnologie e il venir meno di tante “vischiosità”. L’effetto sostituzione colpirà più spesso le imprese che le categorie professionali. A un 20% di imprese italiane già al riparo da rischi e competitivo, farà da contraltare una grande quota destinata a soccombere. Nel mezzo la capacità del “corpaccione” centrale di agganciarsi al cambiamento mettendo in campo un salto culturale, organizzativo, digitale, internazionale e manageriale.

Forti i cambiamenti necessari nell’organizzazione aziendale per coinvolgere le persone e renderle protagoniste della capacità di innovare e stare nelle catene globali del valore delle imprese. Crescerà così il fabbisogno di manager e managerialità spinto da questa necessità e dalla maggiore complessità dell’organizzazione digitale e dai nuovi business. Per i manager che vogliano essere protagonisti serviranno competenze relazionali e negoziali, capacità di visione e di anticipazione, condivisione e trasferimento del know how, più che il suo possesso. Si rafforzerà il welfare contrattuale, sfruttando grazie ad accordi sindacali risorse derivanti da istituti ormai obsoleti. Crescerà lo spazio per polizze e convenzioni, si farà sempre più conciliazione, ma poco smart working fuori dalle grandi imprese.

Gli esperti consultati con il metodo Delphi, coordinato dal sociologo Stefano Palumbo, sono: Euro Beinat (Università di Salisburgo), Alessandro Cattani (Esprinet), Luca De Biase (Nova24-Il Sole 24 Ore), Stefano Epifani (Università di Roma “Sapienza”), Roberto Grandinetti (Università di Padova), Layla Pavone (Digital Magics), Alessandra Servidori (Università di Modena e Reggio Emilia), Cristina Spagna (Kilpatrick), Michele Tiraboschi (Università di Modena e Reggio Emilia), Gianfranco Viesti (Università di Bari).

Facebook
LinkedIn
WhatsApp

Potrebbero interessarti anche questi articoli

Cerca