Come cavalcare l’innovazione?

Ci confrontiamo con Andrea Arnone, professore ordinario presso il Dipartimento di Ingegneria Industriale dell'Università degli Studi di Firenze e prorettore al trasferimento tecnologico e ai rapporti con il territorio e con il mondo delle imprese presso la stessa università. Manageritalia Toscana e l'ateneo fiorentino collaborano nell'ambito dell’accordo quadro firmato ad aprile del 2019. L'obiettivo? Creare una filiera di attività sinergiche tra loro per sviluppare con successo le startup ammesse ai diversi programmi di formazione e accompagnarle nello sviluppo dell’idea imprenditoriale fino all’eventuale costituzione d’impresa e nei primi passi di sviluppo aziendale. Tra le attività previste c’è quella del mentoring manageriale a supporto di percorsi di Impresa Campus e Pre-incubazione

Cosa si può fare oggi per portare l’innovazione e la trasformazione digitale alle imprese e all’ecosistema del territorio? 
La trasformazione digitale è il presupposto per la competitività, l’accesso ai mercati internazionali e di conseguenza la crescita delle nostre aziende e del paese. Non è un’opzione, prima si fa meglio è! Occorre sfruttare al meglio le risorse che abbiamo. Ci sono molte iniziate e incentivi per accompagnare le imprese nella trasformazione digitale. Purtroppo, non sempre si riesce a far percepire quanto questo passaggio sia cruciale.

Raccomanderei quindi iniziative volte a supportare le aziende in questo delicato passaggio, che non è solamente tecnologico ma soprattutto culturale, e che impone anche una revisione del proprio modello di business e di innovazione.

Da rilevare infine l’importanza nel sensibilizzare costantemente le imprese, ma anche gli ecosistemi, circa i nuovi strumenti, metodologie e trend d’innovazione, stimolando però al contempo la riflessione sul fatto che non sempre si devono intraprendere percorsi o adottare strumenti solo perché in voga in quel preciso momento, finendo per trasformare i medesimi più in strumenti di marketing che d’innovazione.

Noi partiamo da una situazione nella quale manca personale con competenze Ict, manca a livello di diplomi Its e i laureati non sono in numero sufficiente, dobbiamo pertanto individuare azioni su scala diversa. In prospettiva di lungo termine occorre rivedere e aggiornare le azioni di orientamento dei giovani. L’orientamento deve essere fatto con maggior anticipo e coinvolgendo le famiglie.

Occorre partire fino dalla giovane età e promuovendo momenti che vedano anche il coinvolgimento dei genitori. Il futuro ci prospetta cambiamenti importanti e avverranno in tempi molto brevi, la scelta del percorso di studio non può più essere un passaggio tra generazioni ma va accompagnata con una chiara visione di sviluppo del paese.

Un affare che interessa anche le Pmi e come? 
Direi che interessa soprattutto le Pmi, le grandi aziende e le multinazionali hanno già le competenze per affrontare la trasformazione, per loro dei semplici incentivi fiscali sono sufficienti. Le Pmi invece devono affrontare la questione della riqualificazione del personale, la formazione di manager in grado di affrontare cambiamenti sostanziali ed aprirsi ai mercati internazionali. Per loro servono strumenti in grado di accompagnarle nel percorso. Abbiamo troppi pochi laureati e soprattutto dottori di ricerca nelle nostre Pmi, questa tendenza va cambiata, l’alta formazione è essenziale per competere a livello internazionale.


Qual è il ruolo della politica e delle istituzioni? 
La situazione del nostro paese è a macchia di leopardo, ci sono tante realtà sia industriali sia di ricerca molto competitive e con enorme potenziale tecnologico. Il ruolo della politica e delle istituzioni dovrebbe essere quello di prendersi in carico questo aspetto tracciando la rotta e mettendo sul campo iniziative che consentano alle aziende più deboli di crescere rapidamente.

Sono necessarie politiche innovative che semplifichino al massimo i processi d’innovazione sotto tutti punti di vista ad esempio fiscale, burocratico/amministrativo, ma anche in termini di apertura all’internazionalizzazione.

Inutile poi ripetere che serve attrarre investimenti e per far questo dobbiamo rendere il nostro paese attrattivo, servono riforme di sostanza, gli altri paesi le fanno da tempo.


E in particolare quello delle università e dei poli tecnologici? 
Le università e i poli o distretti possono fare molto in questo percorso, il punto è riuscire ad allineare bene gli obiettivi e le conseguenti iniziative.

È ormai accettato che la crescita del nostro paese sia necessaria per un miglioramento della qualità della vita, così come è accettato che l’innovazione giochi un aspetto chiave. Molto si parla del ruolo del trasferimento tecnologico e del contributo che le università possano dare.

Le università sono depositarie della conoscenza e dell’alta formazione e quindi naturalmente deputate al trasferimento tecnologico. Sono anche spesso in competizione tra di loro per i finanziamenti governativi e il trasferimento tecnologico non è incentivato ma solo valutato. Servono veri incentivi alle università e ai docenti affinché anche le azioni di trasferimento tecnologico diventino a tutti gli effetti missione dell’università.

I poli dovrebbero rappresentare la sede nella quale le piccole e medie imprese trovano supporto e indirizzo per la loro trasformazione. Per le piccole imprese è difficile affrontare questioni come la formazione dei manager, il finanziamento alla R&D, l’apertura ai mercati internazionali. I poli potrebbero essere il catalizzatore ma non sempre è così e spesso le piccole imprese sono poco rappresentate e non al centro delle iniziative. Ancora una volta è necessario un indirizzo chiaro, condividere gli obiettivi e implementarli.

Sarebbe infine importante anche che queste entità collaborassero concretamente e in maniera sinergica con le università invece di limitarsi ad interagire e coadiuvarsi sulla base delle richieste che pervengono loro.

Quale quello delle organizzazioni dei Manager e degli stessi che nelle Pmi hanno poco spazio? 
A mio modo di vedere il ruolo dei manager è essenziale. Prima ancora di pensare a rivedere il modello di business di una piccola azienda rendendola digitale e aperta al mercato mondiale dobbiamo chiederci se abbiamo personale con alta formazione, ovvero manager in grado di farlo. In generale abbiamo un problema non solo di ricambio generazionale ma anche di alta formazione della classe dirigente.

Su questo le grandi multinazionali e i manager possono fare moltissimo accompagnando le piccole aziende della filiera verso una formazione digitale della dirigenza. Oggi una delle possibili declinazioni dei processi d’innovazione è la “Riorganizzazione aziendale/Innovazione Organizzativa” e il manager ne rappresenta l’elemento cardine principale.


Incubatori, business angels ecc. come possono influenzare su questo cambiamento? 
Possono fare moltissimo, il ruolo degli incubatori e degli acceleratori d’impresa è sostanziale quando si guarda agli aspetti multidisciplinari e di contaminazione che oggi rappresentano un asset essenziale per una giovane start up che vuole scalare il mercato.

Un esempio è rappresentato dal programma di accelerazione Hubble, un caso appunto emblematico di azione multidisciplinare e contaminazione, che vede molti player dell’innovazione operare fianco a fianco. Il programma è promosso da Fondazione Cassa di Risparmio di Firenze, Fondazione per la Ricerca e l’Innovazione dell’Università di Firenze, Nana bianca e Confindustria. Un’iniziativa che sta tangibilmente impattando sul territorio metropolitano di Firenze (30 nuove aziende create) e riconosciuta a livello nazionale e internazionale, quindi anche in grado di agire da fattore di marketing e attrazione.

Altrettanto essenziale è il ruolo della finanza e delle iniziative pubbliche e private per sostenere la prima fase di crescita delle startup. Su questo il nostro paese è indietro e dobbiamo rapidamente recuperare a partire da interventi del governo, quale ad esempio il fondo nazionale per l’innovazione.

Il fulcro è l’open innovation, quindi la contaminazione tra chi nasce dal nulla producendo innovazione e chi lavora quotidianamente per competere. Come metterli in contatto? 
Molto credo sia una questione di cultura, non siamo ancora abituati a guardare con sufficiente interesse ed apertura ai vari eventi di matching per mettere in contatto domanda con offerta di innovazione. È importante insistere su questa strada accompagnando ricercatori e Pmi, cercando di scardinare anche i luoghi comuni che vogliono l’Università incapace di soddisfare le esigenze delle imprese soprattutto in termini di time to market e le imprese di industrializzare quanto sviluppato in collaborazione con il mondo della ricerca. Molti passi in avanti sono già stati fatti, grazie anche alle istituzioni che hanno supportato l’incontro fra i diversi attori dell’open innovation, ma ancora tanto manca da fare, fra cui creare sempre più luoghi fisici dove l’Open Innovation possa prendere vita.

Cosa gli uni – innovatori startupper ecc – possono dare agli altri, le imprese già sul mercato? 
Possono fornire spunti e supporto per l’innovazione, specialmente le Pmi ne hanno molto bisogno e non hanno strutture in grado di farlo in autonomia e con efficienza ed efficacia. Le startup, anche di piccole dimensioni, ma dinamiche e fortemente innovative, potrebbero assumere il ruolo di centro di R&D in outsourcing per le imprese già strutturate, che solitamente trovano difficoltà nell’implementare rapidamente processi di innovazione interni.

Cosa pensa del programma della Regione Toscana per promuovere l’Impresa 4.0 che vede coinvolti vari attori tra cui chi rappresenta i Manager sul territorio e il mondo dell’università? 
La Regione Toscana è indubbiamente una fra le prime ad aver colto l’importanza del trend Industry 4.0, creando la Piattaforma 4.0 che riunisce tutti gli attori del territorio sul tema, avviando un processo di analisi del nostro territorio per poi creare delle strategie d’implementazione delle soluzioni. Rimane forse da innescare il processo di contaminazione fra quelle realtà imprenditoriali che hanno già fatto propri i dettami di I4.0 (in alcuni casi da tempo) e coloro che ancora faticano a comprenderne l’importanza e soprattutto ad avviare il processo di rinnovamento.


Perché l’innovazione attecchisca e faccia competere al meglio le imprese serve anche managerialità, come e perché? 
Fare innovazione senza una visione manageriale e una revisione critica del modello di business è poco efficace. Il percorso di crescita di una startup o di una Pmi che fonda la propria visione sull’innovazione può essere oggi implementato seguendo il giusto processo, il che significa che si può “imparare” ad essere imprenditori e, dunque, lo si può insegnare.

Innovare ha necessariamente a che fare col management, inteso come insieme di rinnovati processi e disciplina. Risultano dunque importanti i percorsi dedicati allo sviluppo di competenze manageriali promossi da varie strutture sul territorio, anche legate al mondo universitario e/o degli incubatori. A questi si aggiungono alcune iniziative in cantiere come ad esempio quelle sulla figura dell’Innovation Manager, che se ben utilizzata, potrebbe essere una figura chiave ed è saggio promuoverla e incentivarla.

Allora quali i prossimi passi per fare e diffondere veramente innovazione e trasformazione digitale sul territorio? 
Riassumendo quanto detto io credo che molto sia una questione di accelerare un cambio culturale di approccio all’innovazione. L’orientamento dei giovani e la formazione digitale, per esempio, sono un passaggio cruciale che influenzerà il paese negli anni a venire.

L’inserimento nelle Pmi di giovani laureati con alta formazione è un altro elemento di base che favorirà l’apertura ai mercati globali. Un semplice confronto con gli altri paesi europei in termini di livello di formazione della classe dirigente ci indicherebbe quanto dobbiamo ancora recuperare. 

Politica e istituzioni dovrebbero far proprio in modo sinergico e strutturale il tema dell’innovazione sfruttando al meglio le risorse e guardando ai casi di successo che già abbiamo, meccanismi di incentivo sono per esempio una via per farlo. Occorre inoltre allineare bene le iniziative già in atto e renderle sufficientemente stabili così da vederne gli effetti pratici.

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