Borsalino: non togliamoci il cappello

Dobbiamo ripartire dal fare sistema sul made in Italy e portare quel sistema nell’economia globale

Borsalino, la storica azienda di cappelli e il suo brand, rischia di toglierci il cappello una volta per tutte. Le cause non paiono neppure risiedere in un cattivo andamento sul mercato, ma piuttosto in traversie societarie che si trascinano da tempo.

Ma non diamo nulla per perso e vediamo perché Borsalino è il cappello per eccellenza e il suo brand vale oro. Anche se proprio su questo c’è una lotta in atto e l’azienda sembrerebbe non possederlo più e quindi mancare del sua dna e valore di mercato.

Per un’azienda il brand è tutto, ancora di più se quel brand ha una storia che ha attraversato tutto il secolo scorso, è stato sulla testa e ha definito lo stile di personaggi che hanno fatto la storia.

Borsalino ha indubbiamente fatto la storia dei copricapi, ma di fatto dell’eleganza dalla testa ai piedi. Infatti, a indossare i beaver, le bombette, le tube, i cappelli in paglia e i panama realizzati dalle “borsaline” (le abili donne che monopolizzavano con la loro manualità la fabbrica), sono stati statisti, papi, presidenti e capitani d’industria. Benito Mussolini, Harry Truman, Hirohito, Winston Churchill, Pancho Villa, Napoleone III, Gianni Agnelli, papa Giovanni XXIII, Al Capone, Ernest Hemingway, Gabriele D’Annunzio, Giuseppe Verdi. E il cinema fece diventare il brand un mito. Come non ricordare Humphrey Bogart e Ingrid Bergman in Casablanca?

Forse una delle pecche di tanti nostri storici brand è quella di vivere troppo di storia e nella storia senza portarla a pieno titolo nel presente e nel futuro. Infatti, il venir meno delle famiglie che li hanno creati e portati al successo e dei loro mercati e clienti storici li lascia spesso fuori dal presente. Un vero peccato, perché poi quando qualcuno li prende in mano e li rivitalizza emerge chiaramente come quella storia abbia un valore oggi e domani, basta saperla raccontare, calare nell’attualità e metterla al servizio delle nuove generazioni e mercati.

Ripartire dal fare sistema sul made in Italy e portare quel sistema nell’economia globale, forte delle tante sinergie che convergono tutte con la “bella vita”, oggi diremmo con il “ben essere”, in ambito alimentare, culturale, abitativo e molto altro, è il nostro dna. Non ci resta che smettere di ripeterlo e farlo davvero. Qualcosa stiamo facendo, ma serve e possiamo fare di più.

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