Atomi&Bit: la digital transformation nella sanità

Dal podcast di Manageritalia, l’intervista a Luca Foresti, ceo del Centro Medico Santagostino

Come fare innovazione oggi con il digitale e affrontare le sfide mutando i problemi in opportunità? Si parla spesso di trasformazione digitale, ma cosa vuol dire, in pratica? Come farla davvero, da dove partire, come diffonderla in tutta l’organizzazione e farla entrare nella cultura aziendale? A queste e altre domande cerca rispondere Atomi&Bit, il podcast di Manageritalia e Andrea Latino lanciato a marzo 2020, in una fase complessa dove comunque molti, proprio grazie al digitale, hanno cambiato il proprio business model, continuato l’attività e raggiunto importanti traguardi.

Il podcast, condotto da Andrea Latino, dà la parola ai protagonisti della digital transformation, manager che già prima di questo momento di forte cambiamento hanno saputo guardare la luna, partendo dal dito, hanno identificato la strada da percorrere, spesso in fretta, guidando e motivando team di persone. Riprendiamo da oggi alcuni passaggi chiave di alcune puntate, invitandovi ad ascoltarle per intero all’indirizzo https://anchor.fm/atomibit

Qui di seguito alcuni stralci della conversazione con Luca Foresti, ceo del Centro Medico Santagostino, protagonista della puntata n. 2.

Cosa digitalizzare e cosa no: i processi non ambigui e quelli ambigui
«Ci sono due princìpi cardine che guidano tutto il nostro sviluppo della digitalizzazione. Cosa bisogna digitalizzare? Tutte le componenti dei processi non ambigui, ovvero quelli che possono essere descritti da un algoritmo. Faccio un esempio banale che tutti noi conosciamo: il prelievo di denaro da uno sportello bancomat. Si tratta di un processo non ambiguo, nel senso che basta avere una carta, un codice, si digita l’importo desiderato e il bancomat eroga le banconote. Molto spesso le aziende continuano ad affidare quei pezzi di processo ad esseri umani, anziché automatizzarli.

Poi ci sono i processi ambigui. Un esempio banale? Una persona che al telefono comunica di avere dolore alla schiena. In questo caso non esiste un algoritmo in grado di interpretare il messaggio, dunque è necessaria un’interazione umana con cui si raccolgono ulteriori informazioni.

Se lo sforzo è quello di comprendere i processi non ambigui, quelli ambigui devono essere affidati completamente ad esseri umani, la componente di un’azienda o istituzione in grado di gestirli».

La digitalizzazione ha sempre dietro esseri umani
«Questo è il primo pezzo di innovazione che ci guida da dieci anni a questa parte. Il processo di cambiamento verso la digitalizzazione richiede tempo in quanto è per sua natura dotato di una sua complessità. Bisogna capirsi, interagire tra vari dipartimenti, spingere avanti.

La domanda successiva è: quali sono le parti della sanità che possono essere digitalizzate e quali quelle che non lo possono essere? Noi oggi a Santagostino abbiamo video visite, abbiamo chat. Tra poco partiremo con il monitoraggio casalingo delle persone ammalate di Covid. Non tutti i processi sono stati digitalizzati. Faccio un esempio: una visita con un otorinolaringoiatra da remoto è molto complicata, per non dire impossibile, ma quando un medico dà a un paziente delle analisi del sangue da fare e all’interno di quelle analisi c’è un parametro sballato, non c’è bisogno di fare un’altra visita fisica: ci si può banalmente sentire al telefono, si può chattare o scambiare informazioni in modo più digitale.

Se prendiamo un neo sulla pelle, ormai abbiamo dei telefoni con una precisione nella fotografia tale che il dermatologo si può rendere conto della sua natura. Dopodiché, se un neo è complicato, allora c’è bisogno di andare nell’ambulatorio e fare una videochiamata. È un’informazione precisa di cui il dermatologo si rende perfettamente conto. Questo genere di soluzioni spesso è alimentato da grossi database di machine learning che aiutano anche nel momento della diagnosi».

La strategia bricks and clicks e la sanità del futuro
«Ciò che il Centro Medico Santagostino sta facendo è seguire una strategia denominata bricks and clicks, a metà tra l’off e l’online. Nella Silicon Valley e in Israele ci sono tantissime startup click only che offrono servizi puramente digitali, non hanno neanche una sede fisica, tutto è basato su piattaforme digitali di intelligenza artificiale o altri strumenti come questo.

Io penso che la sanità del futuro non possa essere digital only ma un mix di attività fisica e digitale e che quindi il nostro compito come sant’Agostino sia quello di portare sul digitale tutto ciò che è possibile, ma continuando a erogare le attività fisiche. Una gastroscopia digitalmente non la fai, così come una risonanza magnetica con un magnete da 7 tonnellate. Non te la porti a casa, devi recarti in un centro. Sono esempi banali. Il prelievo del sangue puoi farlo a domicilio. E poi invece abbiamo attività come la psicoterapia che stiamo erogando per il 96% online».

Il paziente al centro
«La seconda questione è invece molto più speculativa perché coinvolge il sistema sanitario nazionale. Santagostino si è messo a disposizione del Ssn. Però il sistema sanitario nazionale non ha mai aperto la porta al tipo di proposte che facevamo orientate ai pazienti. Mentre il Ssn ha anche tutta la componente di medici infermieri, esponenti politici e quant’altro che rappresentano un pezzo importante del decision making.

Sant’Agostino ho costruito fin dall’inizio un’azienda che ha nel paziente il suo punto di riferimento, io sono una persona che lavora per questa azienda per fare il bene del paziente. Un medico è un prestatore d’opera all’interno di Santagostino per il bene del paziente. Non è questa la logica nel Ssn. Ci sarebbero delle riforme meravigliose che si potrebbero fare».

Tre consigli per i manager
«Quali sono i consigli per un manager? Il primo consiglio che è vero sempre, soprattutto in questo momento, è dirsi la verità. Quando il gioco si fa duro le scelte sono dure, si affastellano, e viene istintivamente voglia di nascondere alcune verità perché sono difficili da digerire, soprattutto per alcune persone che le ricevono. In questo momento difficile il nostro principale compito è dirci e dire la verità. Se dobbiamo mettere delle persone in cassa integrazione dobbiamo metterci la faccia, spiegare in che modo lavoreremo per cercare di preservare i loro posti di lavoro. Se dobbiamo licenziare qualcuno bisogna spiegargli perché.

È uscita qualche giorno fa una bellissima lettera di Brian Chesky di Airbnb, un esempio abbastanza eclatante di come si fa quel mestiere lì. Lui dice la verità alle persone, la dice in faccia, in modo schietto, dice quali sono gli elementi per aiutare le persone a valutare cosa fare della propria vita. Airbnb ha creato di recente una libreria dei talenti con tutte le persone che ha dovuto lasciare a casa, disponibili a spostarsi, lavorare da remoto e così via per offrire loro nuove opportunità.

Il secondo consiglio mi ha aiutato molto nei momenti di crisi e di grande cambiamento: la comunicazione interna è fondamentale e dev’essere fatta in un modo molto preciso. Ci sono momenti in cui il leader dell’azienda, l’amministratore delegato, parla a tutti e si deve esporre alle domande di tutti, senza risparmiarsi. Poi però questo non basta perché è innanzitutto davanti a tutti che non si possono discutere una serie di questioni individuali per motivi di privacy e di opportunità e quindi bisogna organizzare all’interno dell’azienda l’ascolto delle singole persone. Bisogna andare di persona da ognuno per capire cosa sta succedendo e come intervenire.

Questo, tra l’altro, riguarda anche il rapporto con i fornitori, perché questo è un momento difficile anche nelle relazioni con i fornitori, c’è un problema di cassa, bisogna gestire pagamenti dilazionati, cose di questo tipo, meglio un rapporto diretto anziché affidarsi alle lettere di un avvocato. In questo momento bisogna prendere il telefono e parlare in modo umano con i fornitori, cercare di capirsi e cercare di portare a casa qualcosa di utile. La fiducia reciproca è fondamentale. Siamo in una gara lunga e vogliamo essere ancora lì entrambi dopo tanti chilometri.

Il terzo consiglio è, se volete, banale ma molto importante. Bisogna costruire le condizioni per la sopravvivenza delle aziende nel peggiore dei casi possibili. È fondamentale immaginare esattamente tutto ciò che può andare male e avere condizioni di cassa, di organizzazione, di prodotto, di servizio, di logistica o di quant’altro che permetta di sopravvivere in quella condizione. Se uno fa questo lavoro lo deve fare bene. Quindi ha, per esempio, una previsione di cassa nel peggiore dei mondi possibili. Attenzione, dunque, a farsi prendere dall’approccio psicologico di dire no, non pensiamo così negativi, dài cerchiamo di essere più positivi, non mi puoi dire che andrà tutto male. Se poi le cose vanno male tipicamente non c’è più tempo e ci si ritrova “col culo per terra”».

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