Atomi&Bit: la digital transformation nella pubblica amministrazione

Dal podcast di Manageritalia, l’intervista a Roberta Cocco, assessore per la Trasformazione Digitale e i Servizi Civici del Comune di Milano

Come fare innovazione oggi con il digitale e affrontare le sfide mutando i problemi in opportunità? Si parla spesso di trasformazione digitale, ma cosa vuol dire, in pratica? Come farla davvero, da dove partire, come diffonderla in tutta l’organizzazione e farla entrare nella cultura aziendale? A queste e altre domande cerca rispondere Atomi&Bit, il podcast di Manageritalia e Andrea Latino lanciato a marzo 2020, in una fase complessa dove comunque molti, proprio grazie al digitale, hanno cambiato il proprio business model, continuato l’attività e raggiunto importanti traguardi.

Il podcast, condotto da Andrea Latino, dà la parola ai protagonisti della digital transformation, manager che già prima di questo momento di forte cambiamento hanno saputo guardare la luna, partendo dal dito, hanno identificato la strada da percorrere, spesso in fretta, guidando e motivando team di persone. Riprendiamo alcuni passaggi chiave di alcune puntate, invitandovi ad ascoltarle per intero all’indirizzo https://anchor.fm/atomibit.

Qui di seguito alcuni stralci della conversazione con Roberta Cocco, assessore per la Trasformazione Digitale e i Servizi Civici del Comune di Milano, protagonista della puntata n. 13.

Cosa l’ha spinta ad accettare il ruolo di assessore alla trasformazione digitale e servizi civici del Comune di Milano?
«Dopo un lungo percorso professionale in Microsoft, in Italia e all’estero, a metà giugno del 2016 il sindaco Sala, da poco eletto, mi chiamò offrendomi la possibilità di lavorare per Milano come assessore tecnico e quindi con un nuovo assessorato alla trasformazione digitale, poi affiancato dalla delega ai servizi civici e ai servizi generali. Questo proprio per costruire un piano di trasformazione digitale per la città. Certamente si trattava di una sfida molto interessante. Io avevo anche voglia di cambiare dopo tanti anni nella stessa azienda e quindi ho accettato. È stato un po’ un salto nel buio, ma non ho alcun rimpianto».

Come è stato il salto da manager privato all’ingresso in una realtà pubblica così importante come il Comune di Milano?
«Un salto quantico, con fattori positivi e negativi, ovviamente. L’organizzazione privata ha una serie di caratteristiche che io conoscevo. Io tra l’altro in quel periodo lavoravo per l’estero e quindi sono praticamente rientrata in Italia per ricoprire questo ruolo. Ovviamente la mia esperienza è solo al Comune di Milano, quindi non mi permetto di parlare di altri, ma mi sono imbattuta in una realtà totalmente diversa da quella presente nell’immaginario collettivo, alla Checco Zalone, per intenderci.

Ho subito trovato una struttura organizzativa molto solida, con dei dirigenti competenti, con tutta una serie di problemi e carenze di personale e di competenze, difficoltà burocratiche e amministrative, però mi sono resa conto in questi anni che con una grande tenacia, forza di volontà e competenza giusta inserita nella casella giusta dell’organizzazione le cose si possono fare. Io credo che l’abbiamo dimostrato. Un’altra area sulla quale io non mi sarei mai aspettata da fuori di trovare così tanto consenso è l’attaccamento alla propria organizzazione, all’interno del Comune. La maggior parte dei dipendenti del Comune di Milano sono orgogliosi di lavorare per il Comune e noi lo vediamo quando magari chiediamo uno sforzo in più, quando ci sono momenti di criticità, un arretrato di lavoro da fare. Beh, è singolare davvero».

Secondo lei c’è la possibilità che la managerialità privata possa contribuire al funzionamento del pubblico?
«Assolutamente sì. Quando finirà questo mandato una cosa che davvero mi piacerebbe fare è cercare di realizzare un progetto tale per cui i manager privati possano dedicare una parte della loro carriera alla pubblica amministrazione, perché dà tantissimo, io lo posso testimoniare quando ho fatto questa scelta».

Parliamo di Smart City un argomento che ha subito innumerevoli progressi. Secondo lei Milano è già una città data driven o sta facendo un percorso per diventarlo?
«Milano ha intrapreso un percorso di trasformazione digitale. È un percorso senza fine. L’innovazione e la tecnologia corrono talmente velocemente che nel momento in cui inizi un progetto è sempre in fieri. E intanto si aggiungono componenti. Milano è una città data driven? Sì. Ha finito il percorso? No. Abbiamo lavorato sin dall’inizio del mandato del sindaco Sala per un piano fondamentale di infrastruttura tecnologica. Quando siamo arrivati il primo lavoro che è stato fatto dalla mia direzione è stato quello di fare un assessment. Poi abbiamo dato il via a una serie di passaggi per creare un unico bacino di dati, ovvero un’unità centrale dove i dati fossero fruibili da diverse fonti e verso diverse aree.

Tutta questa azione che noi abbiamo fatto negli anni precedenti ci è servita moltissimo per affrontare la terribile pandemia e la nostra direzione dei sistemi informativi. L’agenda digitale ha servito in particolare le esigenze delle altre direzioni che avevano bisogno di elaborare velocemente una serie di servizi.

Abbiamo dovuto affrontare qualcosa che nessuno si sarebbe mai immaginato. Ma alcuni dicono che è stata la più grande crisi per l’Italia dopo la Seconda guerra mondiale, probabilmente è vero. Nessuno si sarebbe aspettato una crisi di queste dimensioni. Siamo passati velocemente dallo shock all’azione. La prima cosa fatta è stata accelerare la possibilità di smart working per il maggior numero di dipendenti possibile. Siamo arrivati ad oltre mila dipendenti del Comune di Milano che agivano da remoto. Questo significa che avevano una postazione di remote working attraverso la piattaforma che permetteva di essere in contatto con il loro ufficio, con enti, con le varie banche dati e quindi potendo svolgere il loro lavoro come se fossero in ufficio. In poche settimane sono stati messi in grado di lavorare da remoto 7mila persone.

Abbiamo accelerato le componenti digitali dei servizi per far sì che i cittadini potessero utilizzare sempre di più i servizi digitali a loro rivolti direttamente attraverso lo smartphone. Abbiamo colto una serie di proposte del privato che ci venivano in aiuto e devo dire grazie di cuore a tutte le organizzazioni che hanno offerto il loro supporto, non solo a noi, ma ovviamente a tutta Italia.

Facebook ha realizzato una chat di Whatsapp dove in modo automatico, attraverso il numero 0 2 0 2 0 2, il numero del Comune di Milano, c’è un rispondi automatico che noi aggiorniamo settimanalmente con le domande principali che ci vengono fatte.

Siamo il primo comune in Europa ad aver adottato questo genere di soluzioni. Devo ringraziare gli amici di Facebook per questa opportunità, pur rispettando tutte le normative di privacy. Questo ci ha permesso di liberare dai centralini coloro che avevano bisogno di semplici informazioni e dedicare i centralini a chi aveva veramente bisogno.

Il terzo ambito è stato il potenziamento proprio dello 0 2 0 2 0 2, che è il numero del Comune di Milano, anche qui grazie a un supporto di un’azienda privata, Samsung, che in quel momento aveva i propri operatori fermi, e che ha messo a disposizione oltre 100 operatori per rispondere e aiutare i cittadini che facevano domande tecnologiche, del tipo “Io non sono capace di caricare il certificato, mi aiutate?”.

Si tratta di una visione a pilastri di quella che doveva essere la prospettiva di Milano, di una “Milano Smart City”.

Milano e l’Italia hanno dimostrato di essere grandi. Alla fine le persone nei momenti più duri, più tosti tirano fuori il meglio. Questo periodo ha fornito un’accelerazione pazzesca al famoso digital gap. Dobbiamo renderci conto che con il digitale ci si può prendere cura della città e dei suoi cittadini. Il digitale è il servizio numero uno».

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