Perché è importante raccontare la storia di un brand e quali sono oggi gli strumenti più efficaci per farlo?
Possiamo partire da un esempio pratico: si parla sempre più spesso – anche a causa del moltiplicarsi dei canali e della frequenza di comunicazione tra brand e pubblico – di coerenza della comunicazione, di mantenere ben a fuoco l’identità di un brand. La storia di un brand è la risposta a questo problema: è la stratificazione della sua identità. E gli archivi storici sono lo strumento ideale per scoprire, mettere a sistema, raccontare e tutelare quella storia, quel brand. Senza considerare che un archivio storico è un asset che può raggiungere fino al 12/20% del valore di mercato dell’intero brand — gli ultimi casi della moda, in cui si è lavorato proprio sull’heritage, confermano questa tendenza.
Dal Museo Lavazza all’archivio Vogue, da Poste Italiane a Fiera Milano: quali sono i punti di forza dei progetti seguiti da Promemoria Group?
Credo siano tre. Il primo è la capacità di creare qualcosa che è davvero al servizio delle aziende. Un archivio Promemoria è, allo stesso tempo, un caveau digitale per tutelare e uno strumento operativo e creativo. Una sorta di assistente virtuale che in pochi secondi ti dà risposte e insight che richiederebbero mesi di ricerca.
La seconda è essere gli unici in grado di farlo. Stiamo concludendo in queste settimane il processo per l’ottenimento di un brevetto: è la formalizzazione del metodo scientifico che già utilizziamo da tempo e che ci ha permesso di arrivare fino a qui. Il semplice fatto che ci sia concesso di brevettare il nostro modus operandi e gli archivi che creiamo credo renda evidente la nostra unicità.
La terza sono le infinite strategie di heritage che possono nascere con la messa a sistema di un archivio storico: ne sono esempi il museo Lavazza e la mostra di successo che Fondazione Fiera Milano ha realizzato in Triennale a fine 2018. Oppure i percorsi di brand experience fisica e virtuale che abbiamo creato per Vitale Barberis Canonico e Emilio Pucci…
Cosa contraddistingue un archivio digitale e come rendere facilmente fruibili i suoi contenuti?
Un archivio digitale non è un semplice gestore di contenuti, come i DAM (data asset management). Il lavoro di Promemoria ha un fondamento scientifico che permette di portare all’interno delle aziende quella logica relazionale che lega tra loro i contenuti significativi dell’archivio, i grandi protagonisti, i luoghi più importanti… È la logica del sistema che fa la differenza: apre nuove prospettive, crea narrazioni inaspettate. L’archivio stesso è una grande narrazione: un database non è che il seme del sistema, mentre un archivio è un albero, dalle radici alle foglie.
La vostra realtà è unica in Italia e in Europa: quali sono i vostri prossimi passi?
Dopo anni di costante crescita (+30%), nel 2019 la moda e l’haute couture sono diventati il nostro settore di riferimento. Un settore d’avanguardia, con il quale stiamo facendo progressi tecnologici sostanziali che ci permetteranno di essere ancora e sempre più unici, in Italia e in Europa. La prossima meta potrebbe essere oltre il confine più vicino a noi… anche perché in Francia la sensibilità verso l’heritage è ancora più sviluppata che in Italia, o meglio è più spesso messa a sistema. Ma si parla di 2020 e il 2019 è ancora pieno di grandi progetti e di qualche sorpresa.
Quanto contano i manager nel rafforzare l’identità di un brand, fuori e dentro le aziende?
Spesso i manager sono la rappresentazione di un’azienda, i frontman di un brand. Sia al loro interno che verso il pubblico. È anche vero che il turn-over è sempre più rapido, specie nelle grandi corporate, per necessità di rinnovare e ampliare le competenze: l’archivio serve anche a ricordare o a trasmettere i valori e la prospettiva di alto livello al proprio management.
Basta pensare al successo di Gucci: quando si insediò il nuovo direttore artistico, oggi vera e propria icona del brand e della moda tutta, lavorò in archivio per mesi.