Airbnb ha fatto flop in Cina, ma ci riprova

Un errore di valutazione imperdonabile e un competitor che conosce meglio il mercato interno. Il colosso di San Francisco ha una nuova strategia, annunciata in questi giorni dal suo ceo Brian Chesky

Gli hotel in Asia, e in Cina in particolare, hanno fino a oggi avuto vita semplice: i grandi gruppi internazionali puntano e investono cifre importanti nel mercato cinese perché considerato fortemente attrattivo. Eccellenze dell’ospitalità come Mandarin Oriental e Shangri-La hanno il loro head quarter a Hong Kong. 

Chi fa tappa nelle città cinesi si accorge immediatamente che gli hotel sono punti di incontro chiave per fare business, uscire a cena nei loro ristoranti e per accogliere i flussi importanti dei viaggiatori interni. Offrono spazi, in sostanza, in centri urbani dove gli spazi scarseggiano. 

Non è un caso che Airbnb annaspa in Cina, nonostante il suo rebranding: il gigante che ha stravolto il settore dell’accoglienza con l’idea dell’home-sharing ha fatto il suo ingresso nel paese del dragone nel 2015 ma un anno dopo contava appena il 2% degli oltre 2 milioni di appartamenti e case di privati trasformati in alloggi per accogliere turisti.

Come se non bastasse, una società concorrente cinese gli ha messo presto il bastone tra le ruote: si tratta di Tujia, fondata dal giovane imprenditore Justin Jun Luo insieme a Melissa Yang. 

Gli errori di Airbnb sono emersi presto e si riassumono in uno, imperdonabile: credere che un modello applicato in tutto l’Occidente sia facilmente replicabile nell’altra parte del mondo. La cultura del bed and breakfast e della condivisione della propria casa non appartengono alla mentalità cinese, dove le abitazioni sono tendenzialmente piccole e non ci sono camere da dedicare agli ospiti esterni. 

La formula vincente di Tujia si basa inoltre sulla gestione di intere unità immobiliari, in stretta collaborazione con agenti e investitori, puntando su quei numerosi palazzi residenziali sorti in tante città cinesi e frutto di speculazioni. In questo modo si utilizzano edifici già pronti, arredati, ma vuoti. In molti casi si tratta di seconde case che possono essere messe a profitto dai loro proprietari.

La controffensiva di Airbnb punta ai Millennial cinesi, come ha dichiarato in questi giorni il ceo Brian Chesky nel corso di una conferenza stampa a San Francisco. L’obiettivo è attirare i giovani viaggiatori attraverso un uso strategico di social media e influencer. 

Le proprietà di lusso in affitto potrebbero essere allo stesso tempo una via di uscita da questa impasse. Così come categorie di alloggio per specifiche categorie di viaggiatori (famiglie, neo sposi in luna di miele ecc.). L’obiettivo? Far diventare entro il 2020 il mercato cinese il numero uno.

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