Agenda Onu 2030: a che punto siamo?

Dalla sua pubblicazione nel 2015, l’Agenda Onu 2030 ha giocato un ruolo chiave nell’orientare le politiche di sostenibilità di istituzioni, aziende e singoli cittadini. Ma a che punto siamo? Quanti dei 17 obiettivi per lo sviluppo sostenibile sono stati raggiunti in questi anni? A quali si sta lavorando, e come, a livello globale e nazionale? Ce lo racconta Enrico Giovannini, direttore scientifico dell’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile (ASviS).
obiettivi sviluppo sostenibile

Tutti i giorni si parla e si scrive di sostenibilità, ma quanto effettivamente si sta facendo?
«Tutte le indagini demoscopiche indicano una crescente attenzione, anche in Italia, dei cittadini/consumatori/risparmiatori ai temi della sostenibilità, non solo ambientale, ma anche sociale. D’altra parte, aumenta anche la quota degli scettici e dei negazionisti, soprattutto rispetto alla questione del cambiamento climatico. Anche tra le imprese l’attenzione a questi temi è sempre più forte, sulla spinta delle regole europee e delle istituzioni finanziarie, pur con una netta distinzione tra grandi imprese (molto più orientate alla sostenibilità) e piccole imprese. Quindi, molto si sta facendo, ma si dovrebbe e potrebbe fare ancora di più e in tempi più rapidi, anche per cogliere le opportunità economiche che la transizione ecologica e quella digitale offrono alle imprese più dinamiche».

Rispetto ai 17 obiettivi dell’Agenda Onu 2030, a che punto siamo a livello mondiale?
«Purtroppo, non siamo a buon punto. La pandemia, la guerra, l’inflazione e le tensioni geopolitiche hanno spinto il mondo in direzione opposta rispetto a quanto previsto dall’Agenda 2030. L’Onu ha mostrato come negli ultimi quattro anni molti degli avanzamenti registrati tra il 2015 e il 2019 siano stati cancellati, in particolare in termini di lotta alla povertà, tutela della salute, investimenti in educazione, degrado ambientale e degli ecosistemi. La stessa tendenza si è verificata anche in Europa e in Italia, anche se l’Unione europea rimane l’area più sostenibile al mondo».

È vero che la sostenibilità costa? E quanto costa non essere sostenibili?
«Certamente, gli investimenti per la transizione ecologica hanno un costo per la singola impresa, per le famiglie e per gli stati. Ma si tratta, appunto, di investimenti, che producono effetti positivi sia nel breve sia nel medio termine: si pensi alla riduzione dei costi dell’energia grazie allo sviluppo delle rinnovabili, anche in termini di bollette per le imprese e le famiglie. Si pensi alla riduzione dei costi dovuti all’inquinamento, che solo in Italia provocano oltre 50.000 morti premature all’anno. Spesso, si tratta di costi non contabilizzati come tali nei bilanci delle imprese e negli indicatori macroeconomici (si pensi al pil), ma non vuol dire che non esistano. Insomma, la sostenibilità non è solo l’unica strada possibile, ma è anche conveniente, a patto però che le politiche assicurino che tali vantaggi vadano a favore di tutti e non solo di alcuni».

Qual è nello specifico la situazione italiana? Stiamo rispettando gli impegni?
«Purtroppo no, come dimostra il Rapporto 2023 dell’ASviS. Rispetto ai 17 obiettivi dell’Agenda 2030, dal 2010 a oggi si registrano peggioramenti per sei di questi, una stabilità per tre e miglioramenti contenuti per gli altri otto. Inoltre, aumentano le disuguaglianze territoriali per molti degli obiettivi. Insomma, l’Italia non è minimamente sul sentiero necessario per realizzare l’Agenda 2030. Al contrario dell’Unione europea, il nostro Paese non ha imboccato in modo convinto e concreto la strada dello sviluppo sostenibile e non ha maturato una visione d’insieme delle diverse politiche pubbliche (ambientali, sociali, economiche e istituzionali) per la sostenibilità. Ciò non vuol dire che negli ultimi otto anni non si siano fatti alcuni passi avanti o che non si siano assunte decisioni che vanno nella giusta direzione, ma la mancanza di un impegno esplicito, corale e coerente da parte della società, delle imprese e delle forze politiche ci ha condotto su un sentiero di sviluppo insostenibile sotto gli occhi di tutti».

Qual è il ruolo dei manager e delle classi dirigenti più in generale per abbracciare una vera sostenibilità?
«Diversi studi mostrano che le imprese italiane che hanno fatto una scelta chiara e forte nella direzione della sostenibilità e della digitalizzazione conseguono significativi aumenti della competitività, delle quote di mercato, dei profitti e dell’occupazione. Ovviamente, ciò richiede un impegno persistente e complessivo da parte della leadership aziendale, che vada al di là di singole azioni che, pur utili, non modificano in profondità il business model dell’azienda. Ai manager spetta guidare – evitando il greenwashing e il socialwashing – questa trasformazione, l’unica in grado di consentire all’impresa e ai suoi lavoratori di coglierne tutti i vantaggi, anche economici».

foto Enrico Giovannini presidente AsViS

Facebook
LinkedIn
WhatsApp

Potrebbero interessarti anche questi articoli

Cerca