30 anni di Internet: intervista a Layla Pavone

Dai primi passi dell'Italia nel mondo del web agli scenari futuri: ne parliamo con Layla Pavone, amministratore delegato Industry Innovation Digital Magics. Nel 2007 la manager ha ricevuto il Premio Eccellenza di Manageritalia

Il 30 aprile 1986… ti ricordi quei tempi? 

Sì, me lo ricordo perché mi aveva affascinato molto la notizia, ma non ero ancora entrata nel magico mondo della rete. Nel 1986 stavo finendo l’università, Scienze Politiche, e preparando la tesi, dal titolo “La diffamazione a mezzo stampa nel diritto anglosassone”. Mi sarei laureata all’inizio del 1987. Poi nel 1988 ebbi la fortuna di essere selezionata per partecipare al primo master in Comunicazione d’impresa e nuove tecnologie che mi aprì un mondo. Per la prima volta si contaminavano due discipline come la comunicazione e l’informatica. Erano gli albori di Internet, usavamo le prime BBS che ci consentivano di collegarci con Silicon Valley via Internet. Non potete immaginare l’emozione, perché ero consapevole di partecipare a una rivoluzione, quella del mondo dell’informazione che oggi per molti è scontata. Il paradosso è che avevo fatto una tesi proprio argomentando alcune problematiche relative ai quotidiani cartacei, proprio nel periodo in cui nasceva un fenomeno che avrebbe totalmente ribaltato le regole, i paradigmi dell’informazione e del giornalismo. Ma… niente succede per caso.

Tu sei stata fra i pionieri… Cosa volevate fare, ci siete riusciti?

È stato un periodo incredibile. Era ormai il 1994. Dal 1992 lavoravo con Nichi Grauso in Polonia, era il proprietario ed editore del primo quotidiano di informazione polacco, Zycie Warszawy, cartaceo naturalmente, e aveva creato una syndication televisiva, Polonia 1. Avevamo fondato la prima concessionaria di pubblicità commerciale, perché allora sui quotidiani polacchi c’era soltanto la pubblicità classificata, i piccoli annunci testuali dei privati. Ma alla fine del 1994 Nichi mi parlò del fatto che voleva vendere le aziende polacche e tornare in Italia per fondare il primo internet service provider, che poi chiamammo Video Online. Mi chiese di far parte della squadra della startup, perché era a tutti gli effetti una startup.

Si comprendeva la portata del fenomeno?

Pochi ne erano consapevoli. Noi stavamo costruendo da zero l’offerta di accesso alla rete ai privati, la connessione (i primi modem dial-up erano lentissimi, 14.400 bit/s, non c’era l’ADSL e tanto meno la banda larga), lo spazio web e alcuni altri servizi alle aziende, fino poi, dopo solo qualche mese, iniziare a pensare che anche la pubblicità poteva essere un asset del modello di business di Video Online. I primi banner avevano misure oggi ridicole, 30×60 pixel, e vendevamo i contatti, le impression a 30 lire. Fu molto bello quel periodo, ma anche molto difficile perché eravamo sicuri che stavamo costruendo qualcosa di una portata gigantesca, ma dal punto di vista del business erano poche le persone e le aziende che sperimentavano e i conti del business plan non tornavano.

Eravate troppo avanti?

Sì, questa è la verità. Infatti nel 1996 si fece avanti Telecom Italia e rilevò il ramo d’azienda Video Online. Comprò le nostre competenze, la nostra esperienza, e la integrò nel progetto Telecom Online, dandone una forte accelerazione. Dal punto di vista personale e professionale però io feci un salto quantico. Ero una delle pochissime persone che conosceva Internet, capendone le implicazioni che da lì a qualche anno avrebbe avuto sulle aziende e fui chiamata da alcune di queste che volevano investire pionieristicamente nel business della rete. Così andai in Publikompass, la concessionaria di pubblicità del Gruppo Itedi-Fiat, nel 1997, e creai la prima business-unit completamente dedicata alla vendita degli spazi web.

Tu sei la pioniera della pubblicità digitale…

Il web ha stravolto completamente il comportamento della società, sia dal punto di vista personale che professionale, oggi è evidente a tutti. La pubblicità dal 1996 ad oggi è stata oggetto di continue metamorfosi grazie all’avvento di nuovi player e lo sviluppo continuo della tecnologia. In principio erano i banner, poi nel 2005 arrivò Google e la possibilità di farsi conoscere attraverso l’utilizzo delle parole chiave, il Search Engine Marketing. Poi nel 2005-2006 si cominciò a parlare di web 2.0 e cioè della possibilità da parte degli utenti di diventare protagonisti della rete, perché si passava dalla semplice possibilità di visualizzare milioni di documenti nella logica ipertestuale alla possibilità di popolare il web con i propri contenuti diventando editori e assumendo un ruolo centrale nella rete, “peer to peer”, ovvero tra pari.

L’avvento dei social network…

Arrivò Facebook e cominciò l’era dei social media a livello globale – pensate che oggi gli utenti di Facebook sono circa 1,7 miliardi – e parallelamente una modalità di fare comunicazione per le aziende totalmente innovativa. Le aziende a quel punto si sono ritrovate “nude”, il sesto potere, quello degli utenti online, le ha messe nelle condizioni di dover rendere conto di tutto ciò che facevano e di doverlo raccontare, spiegare e condividere trasparentemente e onestamente, pena la gogna mediatica digitale. Nacque quindi una nuova disciplina, legata alla reputazione online delle aziende che grazie al word of mouth, il passaparola, ovvero le tecniche di viral marketing, potevano costruire una relazione diretta con i propri clienti, fidelizzandoli e acquisendone di nuovi. Vero anche il contrario, naturalmente, le aziende erano alla totale “mercé” degli utenti, che potevano decretarne il successo e l’insuccesso a seconda di quanto effettivamente fossero sincere e trasparenti con i propri utenti. Infine, oggi, l’ultima frontiera della pubblicità online è il Programmatic Buying, cioè la possibilità di gestire le campagne di pubblicità multimediali, testo, foto, video, audio, via web e via mobile, attraverso piattaforme tecnologiche che consentono di negoziare in maniera efficiente, domanda e offerta con la logica del miglior offerente in tempo reale, ed efficace, potendo arrivare, attraverso la conoscenza dei comportamenti degli utenti in rete e la possibilità di monitorare e misurare il ritorno dell’investimento, a offrire una comunicazione commerciale agli utenti totalmente affine ai loro desideri, bisogni e perché no anche sogni.

Oggi che era stiamo attraversando?

Siamo senz’altro nell’era dei big data, abbiamo miliardi di informazioni sugli utenti, e se usate bene tutte queste informazioni dal punto di vista commerciale potrebbero abbattere quella soglia di fastidio che gli utenti talvolta provano nei confronti della pubblicità online che può risultare invasiva o non desiderata. Infatti, e siamo davvero alle ultime innovazioni, oggi l’industria della comunicazione online deve fare i conti con le tecnologie di adblocking, ovvero quei sistemi che impediscono l’erogazione e la visualizzazione della pubblicità sui siti. Questo fenomeno sta crescendo moltissimo e rischia di fare danni al business della pubblicità. Il problema è che molti editori online vivono di pubblicità, ricordiamoci che la gran parte dell’informazione in rete è gratuita proprio grazie agli introiti pubblicitari e se non si trova una mediazione, un compromesso, una soluzione che possa accontentare utenti e aziende, la rete rischia di diventare una landa molto povera di contenuti ad alto valore aggiunto, un sottobosco di contenuti di bassa qualità, insomma, la gente non è consapevole del rischio che stiamo correndo in questo periodo. Perché bloccare la pubblicità attraverso i software di adblocking significa ammazzare il mercato dell’informazione, oltre che dei social media. Ora, la soluzione è la cosiddetta “native advertising”. cioè la pubblicità nativa che assume l’aspetto dei contenuti editoriali nel quale è ospitata, cercando di generare lo stesso interesse da parte degli utenti, calandosi nel contesto, nel flusso di informazioni senza essere intrusiva. Questa è una partita ancora tutta da giocare a mio avviso.

Quale futuro…

Siamo ormai una società totalmente interconnessa, circondata da tecnologie e da device, quasi tutti con la possibilità di interagire fra di loro. Oggi si parla di IOT, internet of things, intendendo la possibilità di integrare e di connettere qualunque oggetto alla rete, dall’abbigliamento agli elettrodomestici, dall’auto agli strumenti legati alla salute delle persone. Anche in questo caso sarà una questione di contenuti e di capacità di sfruttare la tecnologia a nostro favore, anche quando si tratta di pubblicità, se possiamo definirla ancora così a questo punto delle cose. Pensate ad esempio alla possibilità di connettere il frigorifero, a un sito di ricette che è a sua volta connesso con un e-commerce dal quale si può ordinare tutto ciò che serve per la cena e che ti consegna a casa tutto quanto, pronto per essere cucinato: tutto gestito da un’app sul nostro smartphone. Pensate al mondo della mobilità, delle auto interconnesse fra di loro, con la casa madre e la società di assicurazione. Immaginate una dichiarazione amichevole nel caso di un sinistro, fatta praticamente in tempo reale senza bisogno di pezzi di carta e soprattutto senza più litigare (forse…). O pensate a tutto l’ambito della salute di noi cittadini, la possibilità di essere assistiti a casa evitando visite e degenze in ospedale ad esempio. Pensate alla tecnologia della realtà immersiva e alla possibilità di vivere esperienze originali e coinvolgenti stando seduti sul divano. Io vedo uno straordinario futuro grazie all’innovazione, vedo anche nuove opportunità di impiego, di lavoro, nuove opportunità per le startup che hanno l’opportunità di inventare nuovi prodotti, strumenti e servizi. L’unica condizione è che le persone e le aziende decidano di governarlo e di non subirlo, questo futuro che a dire il vero, forse non ce ne rendiamo conto, ma è già presente.

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