Neuromarketing: la scienza al servizio del marketing

Nato agli inizi del 2000, è già diventato un supporto essenziale per aziende grandi e piccole di tutto il mondo

È nato solo da pochi anni e già se ne sente parlare molto. Trattandosi di una disciplina giovane, è normale che ci sia ancora confusione e le domande siano tante: di cosa si occupa esattamente? Che strumenti usa? Quali vantaggi offre alle aziende?

In poche parole: il neuromarketing studia i meccanismi del cervello che determinano le scelte di acquisto e di consumo. La scienza o, meglio, la neuroscienza al servizio del marketing. Nel concreto, il neuromarketing individua i processi irrazionali e, quindi, inconsapevoli, che spingono il consumatore a scegliere un prodotto piuttosto che un altro. Non a caso, parliamo della scelta del consumatore come di una scelta “irrazionale”: per anni ci siamo lasciati influenzare dall’immagine del consumatore come razionale, logico, che prende le decisioni in modo sempre calcolato. Ma le cose non sono così semplici: tutte le volte che ci troviamo a prendere una decisione sull’acquisto di un prodotto o servizio, siamo bombardati dalle emozioni. Sono queste a influenzarci nelle nostre scelte. Eppure, sul momento, non ce ne rendiamo conto. Pensiamo di aver preso la decisione più logica e ci ritroviamo poco dopo a giustificarla in tutti i modi possibili.

Richard Thaler, vincitore del premio Nobel per l’economia nel 2017, ha contribuito a scardinare quell’immagine perfetta, tipica delle teorie tradizionali, che fa del consumatore un “uomo economico”. Infatti, Thaler sostiene che l’uomo sia, anche in ambito economico, pienamente umano: guidato da desideri, ricordi, associazioni di natura personale… insomma, emozioni.

Immaginate: state facendo la spesa e…

Facciamo un esempio. Siete al supermercato, passate davanti al reparto di prodotti per animali e vi fermate. Vi fermate anche se sulla vostra meticolosa lista della spesa non c’è nulla a riguardo. Però chi lo sa, magari c’è qualche snack o gioco nuovo che al vostro cane piacerebbe tanto. Ed ecco che davanti a voi spiccano due tipi di biscotti: da una parte quelli semplici ed economici, tutti della stessa forma e con un packaging colorato ma comunque serioso; dall’altra parte i biscotti a forma di casa, pesce e stella, il tutto in una confezione colorata e con la foto di un cane sorridente. La scelta più logica? Ovviamente la prima: la scatola contiene più biscotti e costa anche meno della seconda. E poi, «per il cane l’importante è mangiare». Eppure, qualcosa in voi vi spinge a mettere nel carrello della spesa la seconda confezione. Quel pensiero che dura pochissimi secondi in cui sorridete all’idea del vostro cane felice e soddisfatto che mangia il biscotto a forma di stella. È esattamente questo il momento in cui entrano in gioco le emozioni ed esce il vostro lato più umano e meno “economico”.

Nel concreto, come aiuta le aziende?

Il neuromarketing si sviluppa all’interno dei centri di ricerca. In Italia, a poco a poco, si stanno sviluppando sempre più centri di studio con attrezzature altamente specializzate: risonanza magnetica funzionale per vedere quali aree del cervello sono stimolate, lettori di movimenti oculari, strumenti per individuare l’attivazione emozionale e altro ancora. L’obiettivo è monitorare e misurare percezione, interesse ed emozioni direttamente nei punti vendita o in laboratorio. Questo tipo di ricerca si adatta perfettamente anche all’esperienza online. Interessante l’approfondimento sugli strumenti del neuromarketing realizzato da Harvard Business Review.

A questo punto lo scopo del neuromarketing è chiaro: usare i risultati degli studi per ridefinire e migliorare le strategie di vendita. Ogni anno cresce il numero di aziende che si affidano ai centri di ricerca per avere un feedback su prodotti, servizi, spazi e, quindi, indicazioni per ottimizzarli. Per fare qualche nome, tra le aziende che si affidano alle metodologie di ricerca di neuromarketing vi sono Facebook, Google, Lavazza, Technogym… le società più grandi, come le prime due, hanno riconosciuto il valore e l’utilità di questo tipo di ricerca a tal punto da investire nella creazione di propri centri di studio. Altri, come Lavazza e Technogym, si appoggiano a centri di ricerca esterni.

Patatine Lay’s: quando l’abito fa il monaco

Una case history interessante è legata al noto marchio di patatine Frito-Lay. Il brand si è affidato a questa nuova metodologia di ricerca per capire il motivo per cui i prodotti non fossero apprezzati tanto dalle donne quanto dagli uomini. Dagli studi è emerso che il problema stava nel packaging: il colore giallo brillante del pacchetto suscitava nel cervello femminile l’attivazione dell’area legata al senso di colpa. Insomma, l’impressione era quella di un prodotto troppo calorico. Così, il packaging è stato cambiato: non più giallo acceso, ma beige. Il marroncino, infatti, veniva associato agli elementi della natura, ai colori della terra. In più sono stati introdotti riferimenti alle spezie e alla cottura al forno. Risultato: il packaging finale dava l’idea di un prodotto molto più salutare. Dopo queste modifiche, le vendite sono aumentate notevolmente, soprattutto grazie al target femminile. Quello di Frito-Lay è un esempio di come interviene il neuromarketing: studia le reazioni cerebrali del consumatore per aiutare i brand a creare messaggi più convincenti e in linea con i loro desideri e aspettative.

Vuoi saperne di più? Qui trovi il link al libro Neuromarketing di Mariano Diotto, esperto del campo, ideale anche per chi è nuovo all’argomento.

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