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Terzo settore: numeri in crescita

I numeri del non profit sono molto positivi. Sempre più i manager coinvolti, risorse fondamentali con competenze chiave, accostabili a quelle delle attività profit. Secondo l’Istat, in Italia i volontari sono più di 5 milioni e mezzo, le istituzioni non profit 336mila, i dipendenti quasi 800mila. Il giro d’affari supera i 64 miliardi, rappresentando il 3,5% del pil (il 4,3 secondo altre stime). Maurizio Mumulo, direttore del Forum nazionale del terzo settore, ci spiega quali sono le sfide da cogliere per le imprese e il ruolo cruciale dei manager nel loro percorso di sviluppo.
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Terzo settore: numeri in crescita

Quanto è importante per le organizzazioni del terzo settore avere logiche gestionali simili a quelle profit?

«Le organizzazioni del terzo settore devono fare i conti con una dimensione finanziaria più modesta del mondo profit e sono spesso sottocapitalizzate. A maggior ragione, quindi, devono avere modalità gestionali che puntino all’efficienza oltre che all’efficacia, e che si avvicinino il più possibile alle pratiche delle migliori organizzazioni profit».

Sempre più manager passano dal profit al non profit. I manager nati nel non profit o con una forte esperienza in questo settore cosa possono dare al profit?

«Visione strategica, competenze personali, capacità organizzative. Dall’altra parte il terzo settore dà un forte impianto valoriale, il senso della prossimità sociale e dell’impegno civico, indubbiamente asset strategici per lo sviluppo anche delle organizzazioni profit».

Quindi sta aumentando il ruolo e lo spazio per i manager?

«Sta aumentando la cultura manageriale. I manager prima curavano la gestione delle associazioni o delle imprese sociali da autodidatti mentre oggi impiantano la loro competenza su una solida base formativa. Le università da anni formano manager per il non profit con specifici corsi di laurea. Le competenze per operare nel sociale sono sempre più richieste, anche in conseguenza di una legislazione recente più complessa da comprendere e implementare».

Insomma, cosa possiamo fare insieme per aumentare l’appetibilità del settore per i manager e dare a tante società le giuste opportunità di crescita?

«Un giovane manager si avvicina al terzo settore perché ha l’opportunità di coniugare le proprie capacità con i propri valori. Creare le condizioni per la crescita sociale e civile e promuovere iniziative che rispondano a situazioni di disagio sociale, accanto a una giusta ed equa retribuzione, sono elementi incentivanti di attrazione».

I dirigenti del non profit hanno il ccnl dirigenti terziario gestito da Manageritalia. Un giusto riconoscimento del ruolo e, viste le caratteristiche del nostro contratto, un valore per entrambi, azienda e dirigente. Cosa ne pensa?

«È un valore e un punto di riferimento, però vale per i soli dirigenti. Invece i contratti di lavoro che vengono applicati nel terzo settore per tutti gli altri dipendenti sono troppo numerosi. Il nostro auspicio è che si arrivi presto alla creazione di un contratto nazionale unico per i lavoratori di questo comparto».

Per un’organizzazione non profit applicare sempre più spesso il contratto dirigenti del terziario può essere un incentivo per attrarre manager validi e quindi lavorare per crescere?

«Dobbiamo fare i conti con la dimensione organizzativa delle organizzazioni del terzo settore, la cui gran parte sono piccole o piccolissime. Il 75% ha un bilancio annuale al di sotto dei 50mila euro e quindi il tema della posizione e dell’impiego di figure qualificate deve fare i conti con questa realtà».

Il contratto dirigenti del terziario prevede il Cfmt per erogare formazione. È un valore anche per i manager e le aziende del vostro settore e un possibile interlocutore per una formazione sempre più al passo con le esigenze?

«Il terzo settore è naturalmente portato alla collaborazione, sia al proprio interno che all’esterno. La collaborazione fra manager è positiva perché porta trasmigrazione della conoscenza, scambio e arricchimento, cultura e formazione: è una leva strategica di crescita sia per manager non profit che profit».

È anche una sicurezza in termini di ruoli e responsabilità in un mondo sempre più complesso dove il dilettantismo non paga?

«Non è più possibile adottare un approccio autodidatta. Oggi la realtà è molto più complessa. Quadri e dirigenti devono avere competenze più sofisticate, anche di tipo accademico, oltre che esperienziale. Siamo consapevoli di questa necessità e da quasi un decennio organizziamo un’attività formativa per i quadri e i dirigenti che operano nelle regioni del Mezzogiorno: Fqts, Formazione quadri del terzo settore, un progetto realizzato in collaborazione con la Fondazione Con il Sud, che ogni anno coinvolge oltre 300 persone in un percorso formativo basato sull’accrescimento di competenze e la consapevolezza di ruolo».

Tanti manager, in attività o in pensione, operano a supporto di onlus donando tempo e competenze proprio per farle crescere. Noi abbiamo gruppi nelle nostre associazioni territoriali e questo è un ottimo punto di contatto e partenza…

«È vero: vanno rafforzate le iniziative di collaborazione con figure manageriali in settori affini a quelli del mondo del terzo settore, in modo sistematico e non solo episodico».

Che il profit e tutta la società guardino sempre più alla sostenibilità rafforza il vostro ruolo?

«Sì, lo sviluppo sostenibile è da sempre al centro dell’impegno programmatico delle organizzazioni del terzo settore: dal volontariato all’impresa sociale. E come terzo settore rivendichiamo un merito nel fatto che la sostenibilità sia entrata a far parte delle agende dei governi e delle pratiche del mondo profit. Quello che vediamo oggi è merito anche del lavoro fatto dagli enti del terzo settore, non solo attraverso un lavoro di denuncia ma soprattutto attraverso l’applicazione di buone pratiche».





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