Per una “leadership di cura” in tempi burrascosi

Di fronte al ritorno di modelli autoritari nelle organizzazioni, prendersi davvero cura delle persone è la via più efficace per generare risultati, benessere e responsabilità condivisa
Verso una leadershp di cura. Percorso Cfmt Valeria Cantoni Mamiani

Valeria Cantoni Mamiani, founder di Leading by Heart

Lui è tornato è il titolo di un simpatico e distopico film sul ritorno di un dittatore del XX secolo che piomba in Europa dopo ottant’anni e la trova molto cambiata, non adatta ai suoi standard, alle sue idee, orribilmente democratica e aperta, piena di gente “molle” e “debole”, e si sente del tutto inadeguato al nuovo contesto.

Ritorni autoritari e contesto incerto

Lo userei come titolo anche per raccontare quello che sta accadendo in una parte di mondo e in alcune organizzazioni. Lui è tornato: il leader che vuole apparire il più forte, senza crepe né cicatrici. Deciso, prepotente, sicuro che gridare più forte alla fine sia vincente. Che vede un “alto potenziale” solo in chi soverchia gli altri in nome della performance. Certo che i risultati non debbano guardare in faccia a nessuno, che l’unico driver sia il denaro e che le persone siano motivate solo da quello. Che, tendenzialmente, siano tutti da controllare perché perdono tempo e di loro non ci si può fidare, neppure quelli che obbediscono, figuriamoci quelli che dissentono!

In questo clima, le persone soffrono, faticano a trovare il senso, lo cercano al di fuori del lavoro, si demotivano e, a volte, se ne vanno o si mettono in modalità stand by, minimo sforzo, quello che viene chiamato quite-quitting. Questo avviene nonostante l’abbondante letteratura che spiega con dati scientifici e statistiche che le persone che stanno bene tra loro lavorano meglio e che la qualità delle relazioni è alla base della motivazione e della soddisfazione al lavoro, insieme alla percezione di valere e al poter contribuire attivamente ai successi dell’organizzazione, ognuno per la sua parte.

La cultura della cura guardando ai risultati

Le teorie della complessità sull’interconnessione, la consapevolezza delle neuroscienze sul funzionamento dell’empatia, le ricerche delle scienze comportamentali sui bias ci dicono che l’organizzazione è un sistema vivo, fatto di persone, sensibilità, idee, abitudini, desideri, attitudini differenti a cui è fondamentale dare voce e di cui un o una leader consapevole devono prendersi cura.
Ognuno è un giacimento di intelligenza ed energia che, se incanalate, valorizzate e ben integrate, possono portare a risultati sorprendenti: maggiore motivazione, più consapevolezza del proprio ruolo, capacità di collaborare, di affrontare meglio difficoltà e incertezza e autodeterminarsi, sentendosi meno vittima e più attore.

Ho la fortuna di lavorare da alcuni anni con organizzazioni che hanno adottato la cura come modello di comportamento, costruendo insieme percorsi di trasformazione dai risultati straordinari.
Incontro e formo persone che, consapevoli del proprio impatto, si impegnano ogni giorno ad aiutare colleghi e colleghe ad adottare comportamenti di vero ascolto, ad avere una buona gestione delle proprie emozioni, a utilizzare un linguaggio chiaro e preciso, capace di chiedere senza pretendere.

Allo stesso tempo, lavorano per abbandonare giudizi e automatismi che spesso possono essere tossici per il benessere del team.

La cura è «ogni pratica volta a mantenere, continuare o riparare il mondo», ci spiega la sociologa Joan Tronto. Se alla parola mondo sostituiamo organizzazione, diventa evidente che pro muovere la cultura della cura porta a conservare la vita dell’azienda, continuarla nel tempo e riparare errori e fallimenti.

Impatto e responsabilità

Come ha scoperto la fisica quantistica, siamo tutti interconnessi, tutti impattano su tutto e non c’è nulla di lineare, tutto è intrecciato. Dunque, ogni cosa io dica o decida di non dire, o tutto ciò che faccia o decida di non fare, ha un impatto sul sistema, dunque sugli altri, che a loro volta impattano su di me. Questo introduce nell’organizzazione la consapevolezza della responsabilità diffusa in ogni granello del sistema.

Avere cura di sé e degli altri, dell’ambiente in cui si lavora, dello spazio in cui ci si muove, del tempo proprio e altrui e delle relazioni che si tessono è una garanzia che si possa mantenere in vita l’organizzazione in contesti di grande cambiamento.

Non ci scegliamo i colleghi e tanto meno il capo: per evitare che lavorare insieme sia una condanna, è necessario che i manager creino le possibilità per tutti, compresi loro, di imparare a stare insieme nella quotidianità, anche nelle tempeste.

La responsabilità manageriale della cura è legata alla capacità di responsabilizzare tutti, a ogni grado della gerarchia, ad avere un impatto positivo sul sistema.

Questo significa saper gestire la propria emotività, comprendere che i feedback non sono contro di “me”, imparare a riconoscere i propri bisogni – da cui derivano le emozioni – e di conseguenza esprimere opinioni e punti di vista in modo chiaro ma non prevaricante, senza pretendere che gli altri comprendano desideri e aspettative non esplicitati.

Significa anche sapere come ci si sente e come le persone del team stanno a livello di energia emotiva o spirituale, ossia se si sentono connesse, ascoltate e percepiscono di avere un impatto e che il loro lavoro ha un senso.

Fare sciame

Osservando le api, si vede come sappiano bene dove andare e come lo sappiano insieme. Non c’è un’ape che decide e le altre che seguono. Si crea nello sciame una sorta di comunicazione implicita, che fa sì che lo sciame scelga il luogo adatto per fare l’alveare. Adottare una leadership di cura, che sa creare la responsabilità diffusa perché tutti abbiano cura di sé e degli altri, del sistema e delle relazioni, in un movimento circolare, è un po’ come fare sciame.

Le persone che fanno esperienza della cura sanno mettersi insieme per parlare bene degli altri, per aiutarsi, avere rispetto gli uni degli altri (sembra scontato ma non lo è affatto), per ascoltarsi senza pensare che si debba vincere a tutti i costi, per lavorare insieme facendosi del bene.

Nelle organizzazioni dove agisce la leadership di cura, questo fare sciame è contagioso, le persone amano aiutare gli altri sul lavoro, imparare a parlare in modo non violento, sapere come si gestisce la rabbia. E negli anni si sono creati veri e propri ambassador, la cui missione è diffondere questa cultura e questi comportamenti nelle reti della propria organizzazione.

I manager non devono fare molto, ma due cose sì: 1. dare il buon esempio, con comportamenti concreti; 2. legittimare gli sforzi dei col laboratori che desiderano dedicare tempo e impegno verso la diffusione di una cultura della cura.

VERSO UNA LEADERSHIP DI CURA
Strumenti e pratiche per una leadership consapevole, empatica e sostenibile

In un contesto lavorativo sempre più rapido, competitivo e orientato al raggiungimento dei risultati, la capacità di chi ricopre ruoli apicali di prendersi cura non solo di sé stesso, ma anche delle persone con cui lavora, rappresenta un elemento chiave per garantire la sostenibilità del lavoro nel tempo e la qualità delle relazioni professionali. In quest’ottica, diventa essenziale coltivare una leadership più umana, capace di integrare competenze relazionali e capacità di ascolto. Questo percorso formativo nasce con l’obiettivo di offrire strumenti concreti e applicabili, utili a sviluppare una leadership consapevole, fondata sull’intelligenza emotiva, sulla costruzione della fiducia e sulla gestione efficace dei conflitti all’interno dei contesti organizzativi.

QUANDO E DOVE
In partenza il 18 settembre alle 9,30 – Cfmt Milano, Learning House
CLICCA QUI per avere informazioni sul percorso Verso una leadership di cura e per iscriverti

Facebook
LinkedIn
WhatsApp

Potrebbero interessarti anche questi articoli

Cerca