
Cosa vuol dire oggi essere country manager in Italia per una multinazionale straniera dell’Ict?
«Evitare di “fare l’americano”, lavorando invece per localizzare la proposta della corporation, che è globale, al mercato italiano rendendola coerente alle logiche e all’ecosistema del made in Italy».
Quali sono i punti di forza da mettere in campo?
«Il valore delle soluzioni di un vendor internazionale sono gli input di centinaia di clienti in tutto il mondo. Ma non basta: per costruire una proposta aderente alle aziende italiane servono anche le competenze specifiche di partner locali che vanno arruolati e formati adeguatamente».
Il vostro software supporta la progettazione del prodotto dall’idea alla produzione. Vi rivolgete anche alle pmi?
«Anche e soprattutto alle pmi, la linfa del made in Italy, uno dei mercati di riferimento che “coccoliamo” direttamente con la nostra rete di partner certificati».
Quale il contributo dei manager per essere vincenti sul nostro mercato?
«Dare l’esempio con il “manus agere” e indicare la via con il “dirigere”. In sintesi: 1) fare e insegnare; 2) dare una direzione chiara; 3) ascoltare e delegare; 4) non essere un controllore ma avere sempre una classifica dei collaboratori e un piano di miglioramento della squadra».
Come presidiare un settore come quello dell’Ict che cambia alla velocità della luce ed è in piena digitalizzazione?
«Bisogna anticipare i tempi e i trend se si vuole portare valore. Imporsi come visionari non follower, concretamente. Ad esempio, in Centric Software studiavamo il tema della circular economy da tempo. Oggi, ben prima di altri concorrenti, abbiamo una proposta, elaborata con Accenture, che è solida e pronta ad essere adottata dalle aziende italiane che vogliono sviluppare prodotti in modo sostenibile».
Lei è sempre stato nell’Ict: un percorso premiante e cercato?
«Il mio primo impiego in effetti è stato in Bolaffi, dove ho imparato parecchio. Dal ’96 lavoro nell’Ict, un settore stimolante che mi ha dato molto e può ancora dare grandi gratificazioni ai giovani dirigenti. Ancor più oggi, nell’era digitale, dove l’innovazione è il biglietto per il futuro».
Cosa fare per continuare a crescere professionalmente?
«Studiare e aggiornarsi. Il Cfmt è un ottimo veicolo, ho sempre investito e fatto investire tempo per seguire almeno un paio di corsi all’anno».
Bisogna guardare anche all’estero?
«Bisogna guardare in tutte le direzioni. Dall’estero, consiglio letture e business blog come Heinz Marketing, la Harward Business Review e seguire organizzazioni come Startup bootcamp per conoscere il mondo delle startup eccellenti».
Lei vive a Torino, che ambiente professionale c’è e come sfruttarlo?
«Torino è cambiata, scrollandosi di dosso una certa patina, ma subendo anche pesanti tagli e diaspore. È un’area di eccellenza, con grandi scuole sia professionali che universitarie, grandi aziende con un know-how. Penso che Torino debba continuare ad aprirsi e avvicinarsi a Milano, l’unica vera metropoli italiana, unendo le forze. Questa è l’era della coesione, non dei campanili».
Quali i modi per fare networking con vantaggi per sé e l’azienda, magari anche divertendosi?
«Fare networking è fondamentale, ma non solo online. Ad esempio, partecipare alle attività di Manageritalia è un’ottima occasione per conoscere e fare rete, vendere, comprare, assumere». Managerialmente parlando, l’Italia che lei conosce e frequenta come esce dal confronto con l’estero?
«Ci si ripara dietro al made in Italy ma si pensa troppo poco all’innovazione. Chi dice “abbiamo sempre fatto così” non riflette sul “cost of doing nothing”. Chi non innova è perduto, che sia un’azienda o un dirigente».
Lei è associato a Manageritalia Piemonte e Valle d’Aosta: che rapporto e quali vantaggi ha?
«L’ufficio di Torino è molto ben gestito ed è il luogo dove trovare assistenza, consigli e anche tanti amici-colleghi con cui confrontarsi in occasione delle iniziative sociali».