
Oggi il format di Manageritalia che interroga alcuni manager associati su come stanno vivendo e gestendo l’emergenza coronavirus, incontra un personaggio particolare. Luciano Gualzetti non è solo un manager e associato a Manageritalia Lombardia, ma è direttore di una delle realtà del sociale più coinvolte nell’emergenza: Caritas Ambrosiana.
Il coronavirus sta generando una crisi anche sociale, oltre che sanitaria ed economica: come è la situazione a Milano e nella diocesi?
«Dal 24 febbraio, ovvero dall’inizio dell’emergenza sanitaria in Lombardia, abbiamo avuto un incremento del 50% di richieste di aiuti alimentari. Negli Empori della Solidarietà, i supermercati solidali dove si viene a fare la spesa con la tessera a punti della Caritas, il 25% delle famiglie non si è mai vista prima. Attualmente, ricevono un sostegno alimentare grazie ai centri di ascolto della Caritas 16.500 famiglie, 2mila solo nel Comune di Milano dove il servizio è garantito da 8 hub comunali con i quali collaboriamo. Questi numeri danno l’idea delle proporzioni della crisi sociale che ha provocato la quarantena per bloccare l’epidemia. A pagare il prezzo più alto sono proprio i più fragili: persone sole, soprattutto anziani, famiglie numerose che hanno visto un aumento delle spese per alimenti (i figli mangiavano nelle mense scolastiche il loro unico pranzo completo), lavoratori precari o in nero che galleggiavano sulla linea della povertà e che ora sono finiti sotto. Soggetti, tra l’altro, che non sono raggiunti dalle misure di sostegno che il Governo ha previsto».
Come avete affrontato l’emergenza nell’immediato in Caritas Ambrosiana a livello di organizzazione e salvaguardia del personale e dei volontari?
«In questo momento molto particolare Caritas Ambrosiana cerca di bilanciare due principi: da un lato, la tutela della salute e dall’altro, la solidarietà verso i più deboli che sono anche i più esposti non solo al contagio, ma soprattutto alle conseguenze sociali del virus. Salvaguardia della salute e prossimità sono esigenze che non possono essere messe in contrapposizione. Per questa ragione abbiamo scelto di non chiudere i servizi di base, ma di organizzarli diversamente. Dall’inizio della crisi, sono rimasti aperti sia le mense come il Refettorio Ambrosiano, sia i Centri di Accoglienza per persone senza dimora come il Rifugio Caritas, il dormitorio per senza tetto che gestiamo nei pressi della Stazione Centrale, sia gli 8 empori della solidarietà e le 6 botteghe solidali. Ovviamente in ognuno di questi servizi abbiamo preso dei provvedimenti per tutelare dal contagio gli ospiti, i volontari, gli operatori. Per esempio, al Rifugio ogni sera medici volontari della Croce Rossa, un’infermiera e 4 educatori in servizio misurano la febbre alle persone prima che entrino. Al Refettorio Ambrosiano abbiamo triplicato i turni per la cena in modo che le persone possano sedersi ai tavoli mantenendo le distanze. Negli Empori si viene a fare la spesa solo su appuntamento. Anche i Centri di Ascolto – sono 380 in tutta la diocesi di cui 130 nella sola città di Milano – hanno garantito un’apertura con modalità telefoniche o su appuntamento per proseguire nell’accompagnamento delle persone in difficoltà e favorire l’accesso ai diritti e alle prestazioni di aiuto pubblici e parrocchiali».
Come state affrontando l’emergenza a livello operativo nei confronti di chi aiutate? Come è cambiato il vostro servizio alla comunità?
«Nei servizi dove è stato possibile, abbiamo introdotto lo smart-working. Questo ha riguardato, in particolare, gli uffici centrali che svolgono un ruolo di coordinamento e di supporto dei servizi e delle attività affidate sul territorio alle cooperative. Tuttavia anche sul territorio, stiamo sperimentando forme di assistenza a distanza. Non solo i volontari dei centri di ascolto hanno colloqui telefonici con le persone che aiutano, ma anche alcuni doposcuola parrocchiali hanno proseguito il servizio di assistenza nei compiti utilizzando le piattaforme digitali. Il distanziamento sociale mal si concilia con l’idea di comunità che abbiamo. Tuttavia, siamo sfidati a trovare nuove forme di relazione. Dobbiamo essere creativi e positivi. Non è escluso che da questo periodo possano nascere buone pratiche di cui fare tesoro anche quando l’emergenza sarà finita».
Quali sono le priorità per voi oggi? Di cosa avreste bisogno innanzitutto ora?
«Come a tutti è ormai evidente, in mancanza di un vaccino o almeno di un farmaco bisognerà riprendere le attività trovando le modalità organizzative per convivere con il virus. Per farlo, però, dovremo essere attrezzati. Un requisito di base è avere in misura sufficiente dispositivi di protezione individuale. Abbiamo calcolato che per i prossimi tre mesi avremmo bisogno di 600mila mascherine solo per operatori, volontari e ospiti dei nostri centri. Dalla rete caritativa legata dalla Chiesa cattolica cinese e dalla Caritas di Hong Kong ne abbiamo ricevute 260mila. È evidente che non sono sufficienti. Nel frattempo dovremo anche pensare alle conseguenze sociali dell’emergenza, che si vedranno almeno per i prossimi 2-3 anni, sostenendo da subito chi è stato più colpito per evitare che sprofondi nell’indigenza o che, preso dalla disperazione, si affidi a usurai, spesso collegati alla criminalità organizzata».
Qual è il ruolo di un manager in questi frangenti?
«In questa situazione in modo particolare un manager è chiamato a fare la migliore scelta possibile, sapendo di non avere a disposizione tutti gli elementi necessari, per finalizzare le poche risorse disponibili, non solo per rispondere a bisogni immediati o alle spinte emotive che incalzano organizzazioni caritative. Ma vedere lontano e soprattutto riuscire a mantenere uno stile di promozione e di dignità per non intrappolare nella spirale assistenzialistica la persona aiutata e la Caritas stessa. E’ una grande sfida che riguarda tutti a tutti i livelli. Credo che da questa esperienza una delle lezioni che può trarre chi ha un ruolo dirigenziale è proprio il senso del limite. Navighiamo a vista, non sappiamo come si evolverà la situazione, dobbiamo affidarci all’intelligenza e alle competenze degli esperti, consapevoli che non abbiamo tutte le risposte. In fin dei conti il coronavirus ci insegna che per batterlo bisogna essere umili, ma allo stesso tempo mantenere uno sguardo alto sul dopo».
Cosa chiedono le associazioni come la vostra al Governo?
«Di avere uno sguardo lungo e ampio. Questa emergenza ha messo a nudo le contraddizioni di modelli sanitari, dell’istruzione (quanti bambini non avevano i device per seguire le lezioni a distanza), del mondo del lavoro (precari e intere categorie di lavoratori rimasti subito senza reddito). Avere una visione di lungo periodo per non lasciare indietro nessuno. La quarantena non ha colpito tutti allo stesso modo. Il rischio è che quando usciremo dal tunnel in cui siamo finiti, ci ritroveremo più disuguali di prima. L’aumento delle differenze sociali potrebbe non essere più sostenibile per la tenuta democratica del nostro paese. Mi ha molto colpito che un ministro pacato cui non piace rilasciare dichiarazioni ad effetto, come Luciana Lamorgese, a capo del Viminale, si sia detta preoccupata per una possibile recrudescenza del fenomeno malavitoso e del rafforzamento di gruppi eversivi. Oltre alla repressione necessaria, sono gli investimenti nel welfare l’arma con cui affrontare e scongiurare quei fenomeni».
In particolare come manager cosa si aspetta da Manageritalia?
«La possibilità di confrontarmi con altri professionisti impegnati in diversi settori. Il coronavirus ci sta facendo riscoprire il valore delle competenze e della collaborazione. E’ un altro insegnamento da tenere presente. Credo davvero che non sia retorica la frase che dice che ci salveremo solo insieme. Vale tanto più per chi deve prendere delle decisioni. Decisioni per il bene comune, non solo per un profitto fine a se stesso».
Com’è Milano oggi?
«Milano era la città dei primati, delle “week”, degli affari. Questa Milano è come in letargo. Ma non è scomparsa. Appena sarà possibile, si risveglierà e ricomincerà. Nel frattempo, sta emergendo più forte che mai il volto generoso di questa città. Tra le tante espressioni di solidarietà, ne voglio citare una che mi ha coinvolto direttamente. In sole due settimane abbiamo raccolto oltre un milione di euro da cittadini per il Fondo San Giuseppe voluto dall’Arcivescovo di Milano, monsignor Mario Delpini, e dal sindaco Giuseppe Sala, per aiutare chi ha perso il lavoro a causa della crisi da coronavirus. Grazie a quelle offerte, il Fondo partito con un patrimonio iniziale di 4 milioni, ha superato i 5 e ci permetterà di dare ossigeno alle famiglie in questi giorni difficili. Mi pare il segno di una vivacità solidale che si è manifestata in molti modi nelle nostre comunità anche virtuali. La speranza è che questa solidarietà, emersa anche a causa di sofferenze inaspettate e lutti insopportabili, ci aiuti a ripensare il futuro con una vera e propria rifondazione di modelli sociali ed economici».
In che modo Caritas Ambrosiana collabora con il Gruppo Manager per il Sociale di Manageritalia Lombardia e come i nostri manager potrebbero ulteriormente aiutarvi?
«Attualmente il Gruppo Manager per il Sociale aiuta la Caritas Ambrosiana nella formazione dei volontari del Fondo Diamo Lavoro, ora affiancato dal citato Fondo San Giuseppe. È molto importante favorire la circolarità di esperienze e di competenze per creare le condizioni per ottenere quelli che sono i veri obiettivi del servizio e dell’azione caritativa: agire non solo sugli effetti, ma anche sulle cause delle povertà favorendone la rimozione, promuovere percorsi di liberazione dalla necessità di chiedere un aiuto, garantire una vera dignità della persona non solo risolvendo il suo problema, ma consentendole di concorre al suo e al bene degli altri, con dignità. Per fare questo lavoro complesso non sempre basta la buona volontà. Più spesso dobbiamo ascoltare, osservare, studiare i contesti e i processi, attirare e attivare risorse mirandole alle vere priorità, comunicare in modo corretto per rendicontare, ma anche per offrire uno sguardo diverso sui cosiddetti invisibili. In tutto questo i volontari di Manageritalia possono mettere al servizio le proprie competenze per le iniziative Caritas per la promozione delle persone in difficoltà e di comunità inclusive e accoglienti».