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Sos Manager: a tu per tu con la presidente Aipa

Alessandra De Coro è presidente di Aipa - Associazione italiana psicologia analitica con cui collaboriamo per offrire il servizio Sos Manager
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Sos Manager: a tu per tu con la presidente Aipa

Il successo riscosso dal servizio di consulenza psicologica di Manageritalia Lombardia Sos Manager sta portando all’ampliamento del progetto a livello nazionale, grazie all’implementazione di collaborazioni sul territorio tra la nostra federazione e Aipa, Associazione italiana psicologia analitica, l'interlocutore più adatto a garantire la massima professionalità del servizio. Abbiamo chiesto alla presidente di Aipa Alessandra De Coro su cosa si basa questa collaborazione, ma soprattutto come è mutato il vissuto psicologico delle persone, in particolare dei manager, in questo anno molto difficile.

Come stanno vivendo le persone oggi, dopo un anno di pandemia?
«Dopo una iniziale risposta emotiva, caratterizzata da sorpresa, spavento, angoscia e infine senso di oppressione per il confinamento totale dello scorso anno, le persone oggi vivono il protrarsi dell’incertezza circa il futuro con un enorme senso di pesantezza, stanchi di doversi difendere da un nemico invisibile eppure ancora pericoloso. Oscillano così da eccessi di paure e precauzioni a eccessi di sfida, spinti dal desiderio di tornare alla “normalità” delle relazioni».

In che modo si sono modificate le richieste di aiuto che ricevete?
«Le nuove richieste di aiuto psicologico, sospinte anche dal disagio causato dall’esperienza di lutti e di timori specifici per la pandemia, sono caratterizzate da un generale incremento degli stati d’ansia, in alcuni casi accompagnati da ruminazioni ossessive o da comportamenti di tipo fobico e dal ritiro sociale. Sono aumentate le domande di terapia per comportamenti autolesivi e idee suicidarie negli adolescenti, con genitori e insegnanti disperati e impotenti ad aiutare figli o studenti. Invece i pazienti che già erano in terapia, dopo aver subìto il forzato passaggio a una situazione terapeutica a distanza, sono tornati ad avere le loro sedute in presenza, ma lamentano una grande fatica, nella vita come nelle sedute, per le costrizioni cui tutti siamo comunque tenuti ad attenerci. In alcuni casi, lo stress generato dal trauma pandemico ha permesso di aprire esplorazioni più profonde dei propri vissuti e di accedere a ricordi traumatici nel corso di questo anno».

Restringendo il campo a manager e professionisti, quali sono le problematiche più comuni che si trovano ad affrontare?
«I manager e i professionisti il più delle volte chiedono aiuto inizialmente per motivi familiari (per esempio separazioni coniugali o preoccupazioni genitoriali per i comportamenti “difficili” dei figli adolescenti), ma subito dopo emergono insoddisfazioni profonde legate ai timori di inadeguatezza e all’esperienza di frustrazione suscitati dalle condizioni stressanti del lavoro e dalle proprie aspettative di carriera. Per quanto riguarda le donne, si osservano anche risposte ansiose e depressive specificamente attivate dal conflitto fra i desideri di realizzazione professionale (spesso maggiormente penalizzati, rispetto agli uomini, anche nell’ambiente di lavoro) e i desideri di essere “buone madri”».

Come sono mutate con la pandemia in corso?
«Insoddisfazione e frustrazione sono accresciute, quasi sempre, dal lavoro da remoto, per le maggiori difficoltà di salvaguardare l’aspetto umano e amicale delle relazioni con i colleghi. Solo in alcuni casi, di persone già inclini all’isolamento sociale, lo smart working è stato accolto con sollievo ma, dopo un certo periodo, il desiderio di tornare a frequentare l’ufficio si è fatto sentire anche in questi casi. In particolare, per quanto riguarda le donne madri, l’ansia di prestazione e il bisogno di uscire di casa sono stati aumentati dalla situazione di costrizione domestica, con i figli che restano in casa, e dal timore di non riuscire a fare fronte ai bisogni emotivi di tutti i membri della famiglia, inclusa l’assistenza ai familiari anziani e bisognosi di cure. Tale esperienza di stress e di timore di inadeguatezza, come professionisti, ha riguardato noi stessi psicoterapeuti, messi a dura prova dai mutamenti delle condizioni di lavoro e dalle angosce di morte portate con intensità da diversi pazienti».

È ancora forte il tabù di una certa fetta di popolazione nell’entrare in psicoterapia?
«Purtroppo è tuttora frequente sentire, da persone colte come da persone con scarsa cultura, la classica frase: “Ma io non ho bisogno di uno strizzacervelli! Non sono mica matto!”. Tradizionalmente, gli analisti considerano le donne più disponibili a intraprendere un lavoro psicologico, forse per una sorta di complesso culturale per cui le donne sarebbero più vicine all’ascolto delle proprie emozioni, o forse perché le condizioni sociali e lavorative spesso esprimono richieste che pesano di più sulle donne e ne aumentano la sensibilità ai conflitti interiori. Lavorando con adolescenti, capita spesso, quando il professionista chiede di avere un colloquio con entrambi i genitori, che la madre si trinceri dietro un “Sa, mio marito non vuole venire perché non ci crede”. Come se rivolgersi a un professionista della salute mentale richiedesse una “fede” speciale, che sarebbe invece implicita nel rivolgersi a uno specialista della salute del corpo. Non possiamo tralasciare di considerare cause più obiettive per questa resistenza: la formazione alla psicoterapia, purtroppo, in Italia (ma anche in altri paesi) è stata resa fin troppo accessibile a giovani che cercavano soluzioni ai loro personali problemi, e fino agli anni ’90 sono mancati criteri selettivi più rigorosi».

Come possiamo sdoganare questi preconcetti e poter vivere meglio grazie all’aiuto di uno specialista?
«Da una parte, è necessario che le persone siano bene informate circa i criteri di formazione dei professionisti. Dall’altra occorre la disponibilità di questi ad ascoltare con attenzione e rispetto ogni domanda di aiuto psicologico, senza rispondere immediatamente né con una diagnosi, né con una proposta immediata di psicoterapia: occorrono alcuni colloqui di esplorazione della situazione per creare la possibilità di valutare insieme, terapeuta e paziente, quale possa essere la risposta migliore da dare a quella domanda di aiuto. Più in generale, un’opportunità di formazione dei cittadini al significato della salute mentale e del benessere psicologico potrebbe aiutare le persone a disporsi più apertamente rispetto alla scelta di intraprendere un percorso psicoterapeutico come aiuto a una più piena realizzazione di sé e delle proprie risorse affettive e intellettuali».

Come capiamo che è arrivato il momento di farci aiutare da uno specialista?
«La spinta più ovvia può venire da sintomi psicologici, come ansia diffusa, insonnia, tristezza pervasiva e inspiegata, difficoltà di controllare certi comportamenti dettati da rabbia o da desideri compulsivi. Ma anche un senso prevalente di frustrazione e di impotenza, ancorché giustificabili con vicende stressanti sul lavoro o in famiglia, sono segnali di una generale difficoltà a mettere in moto le proprie risorse personali per regolare lo stress e le emozioni che a esso sono connesse».

In cosa consiste la collaborazione tra Aipa e Manageritalia?
«A partire dal Servizio Sos Manager organizzato in Lombardia in collaborazione con la nostra sezione milanese, sotto la responsabilità del collega Giuseppe Primerano, l’Aipa collaborerà all'ampliamento a livello nazionale del servizio di sostegno psicologico agli associati di Manageritalia. Tale servizio consiste nell’offrire in primo luogo brevi occasioni di formazione su temi richiesti da Manageritalia e, su richiesta dei singoli iscritti, un primo colloquio di consulenza presso la vostra sede territoriale e a carico di essa, a cura di un professionista socio Aipa. In base alla valutazione della situazione che il professionista farà congiuntamente con il manager, l’associato potrà decidere se proseguire un percorso di sostegno o di psicoterapia con il professionista già conosciuto o eventualmente con altri professionisti Aipa».

Quanto bisogno c’è di servizi e attività del genere secondo lei?
«In una società che sempre più tende a dare spazio e valore alla ricerca del consenso pubblico e al possesso di beni materiali, penso che sia necessario sostenere la ricerca individuale dell’integrità psichica e della libertà di esprimere in modo autentico le proprie risorse creative e i propri bisogni spirituali. Accostarsi a tale ricerca, attraverso un percorso che dà valore anche agli aspetti inconsci della personalità e all’integrazione della coscienza con l’inconscio per un’espansione salutare della coscienza, può costituire una grande opportunità di ritrovare il benessere psicologico, anche al di là della domanda di “cura”».


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