
Oggi iniziano le sfilate delle nuove collezioni primavera/estate. Come si è evoluto il concetto di sfilata?
«Le sfilate negli ultimi anni hanno certamente subito una trasformazione. Da un lato sono diventate eventi aperti: mentre prima erano per addetti ai lavori, ora sono più consumer perché, grazie al digitale, sono seguite in diretta da milioni di persone in tutto il mondo. Infatti quasi tutti i marchi che sfilano propongono il live streaming sul proprio sito. Dall’altro lato, mentre prima la sfilata era l’Evento, ormai è un tassello di una serie di eventi che l’azienda organizza. Quindi da una parte hanno acquisito importanza dal punto di vista consumer, dall’altra sono diventati eventi più di contatto che di business. Per esempio ci sono marchi emergenti, come Supreme, un fenomeno americano pazzesco, oppure Off-White, il marchio streetware di lusso del direttore artistico collezione uomo di Louis Vuitton, un brand sicuramente in crescita, che non sfilano nemmeno. Ormai non tutto ciò che è fashion sfila».
Milano è di nuovo in vetta tra le capitali della moda mondiale, superando New York e Londra: cosa è successo?
«Fermo restando che Parigi è leader, Milano si è mossa bene in questi ultimi anni e di contro Londra e New York hanno perso smalto. In più forse la moda americana è maggiormente legata anche al mass market, al digital, all’e-commerce, quindi il fenomeno di riduzione dell’importanza delle sfilate, di cui dicevamo, negli Stati Uniti è più forte. Però il punto è che Milano è saldamente in seconda posizione!».
Milano si è riposizionata anche come destinazione in generale, grazie ad Expo e ad altre circostanze che l’hanno rilanciata. Questo ha influito?
«Questo è tutto un altro discorso. Milano sicuramente, a seguito di Expo, si è inserita tra le città trend a livello internazionale e in questo senso non può fare concorrenza a Londra e New York, ma è diventata una città di moda, il turismo è aumentato molto. È entrata in un circuito di turismo importante nel quale fino a dieci anni fa era totalmente assente. E nell’immaginario internazionale è la città della moda e del design, quindi è diventata in questo senso rilevante. Da qui le recenti aperture e l’interesse di Apple o Starbucks…».
Come potremmo sfruttare di più questo momento positivo?
«Bisogna continuare a investire sulla città».
Come riusciremo a mantenere affermato il Made in Italy nel mondo, soprattutto nei casi di certi brand ormai acquisiti da colossi stranieri?
«Gli investitori stranieri hanno a cuore prima di tutto l’italianità dei marchi che hanno acquisito, quindi da quel punto di vista non corriamo alcun rischio. Per esempio pensando a Gucci o Fendi, bisogna dire che i gruppi di cui fanno parte le hanno sostenute con grossissimi investimenti che hanno dato ulteriore linfa a queste aziende. Fortunatamente abbiamo dei marchi di valore che creano interesse internazionale. È ovvio che l’ideale sarebbe avere investitori italiani che facciano tutto ciò che stanno facendo gli stranieri, ma visto che non ci sono è un male minore rispetto al fatto che i marchi stiano prosperando grazie a questi investimenti».
In questo scenario quanto incidono i grandi paesi emergenti, come la Cina, sia in termini di business ma anche in termini di trend e scelte stilistiche?
«La Cina è uno dei più importanti mercati di consumo dei nostri brand di lusso. Sicuramente nella scelta dei testimonial e dei prodotti in parte le campagne globali dei grandi marchi cercano di tenere conto di questo fatto, per esempio scelgono anche modelle asiatiche. Spesso poi ci sono delle creatività prodotte ad hoc per l’Asia».
Questo succede anche per altri paesi come la Russia?
«No, tendenzialmente direi soprattutto per l’Asia».
Il digital quanto ha impattato nel mercato della moda e quali sono le novità in vista?
«Ha impattato in maniera molto forte su tutte le aree aziendali, dalla comunicazione alla creatività delle collezioni, che nascono quasi in funzione del digital, dell’e-commerce e del fatto che le persone vogliono prodotti nuovi di continuo. L’analisi sarebbe molto più profonda, ma il concetto di base è che il digital ha rotto i tempi e la moda, le sfilate stesse sono vittime del digitale perché in un mondo in cui si guarda Instagram tutti i giorni è paradossale che un marchio ponga i tempi delle sue novità ogni sei mesi. Io le vorrei quasi ogni giorno! Tutto si sta orientando verso una sempre maggiore frequenza di novità. Questo va a impattare su tutta la filiera produttiva ed è un trend di lungo periodo. Poi, nel concreto, ci sono marchi per cui l’e-commerce ormai pesa dal 10 al 20 per cento: comincia a diventare un canale rilevante e comunque in crescita».
Vendite online e in boutique: a che punto siamo della partita?
«Non è che l’e-commerce porti a chiudere i negozi: prima c’erano solo i negozi, ora ci sono i negozi e l’e-commerce. La parola più comune in questo caso è omni-channel: ormai i punti di contatto tra un brand e un consumatore sono molteplici, quindi non si può dire che si va in negozio per comprare o meno. Il marchio ha un engagement con i consumatori in più ambiti: online, offline, in negozio, sui social... Ogni parte è un pezzo di un percorso più ampio. L’ultima apertura di Zara va proprio in questo senso: ha puntato tantissimo sul concetto di cross. C’è un’area del negozio dove è esposta una collezione che non si può comprare lì, ma va ordinata online. Viceversa andando negli store c’è una porta specifica dove presentando un codice a barre si riceve il prodotto comprato online. È l’esempio lampante di quello che sarà il trend».
Come funziona la gestione manageriale nel campo della moda e che peculiarità hanno i manager di questo settore?
«Servono sempre di più competenze digitali, conoscenza del prodotto e poi doti manageriali che esulano dalla moda. Un bravo manager è un bravo manager! Queste caratteristiche valgono anche per altri settori… Ma un aspetto su cui la moda è molto avanti è questo: ormai è una tendenza di lungo periodo il fatto che gli asset delle aziende stiano diventando sempre più intangibili. Il valore di Apple è intangibile al 99%. La moda sicuramente sulla gestione dell’intangibile è avanti».
… A proposito di moda, trend ed esperienze luxury, se l’è fatto un caffè da Starbucks a Milano?
«Sì! È un posto turistico che va benissimo a Milano, come è turistico l’Apple store. È segno del fatto che Milano sia di tendenza, e c’è un numero sufficiente di persone, turisti e viaggiatori, in città per poter mettere in piedi quel tipo di negozio. Ci posso andare con i miei figli, poi è ovvio che se passo di lì il mercoledì pomeriggio e ho voglia di un caffè mi fermo a un bar normale… questo è un posto di experience!».