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Le aziende riscoprono gli older?

I brand comunicano sempre più i loro messaggi attraverso testimonial over 60. L’offerta silver-friendly è però ancora scarsa
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Le aziende riscoprono gli older?

Altro che millennials. Il target a cui guardare sono i baby-boomers, ovvero coloro che sono nati tra la fine della seconda guerra mondiale e i primi anni 60. Una generazione che ha vissuto gli anni del boom economico e ha avuto occupazioni fisse e, in linea di massima, ben remunerate. Una generazione che, dunque, oggi gode spesso di una disponibilità economica (oltreché di tempo) superiore a quella dei più giovani.

Le aziende, che per lungo tempo hanno dato la “caccia” ai millennials, si sono accorte dell’importanza degli older e hanno cominciato a coinvolgerli, almeno sul piano della comunicazione. Lo dimostra l’incremento delle testimonial over 60 nel settore della cosmesi. Si va da Jane Fonda ed Helen Mirren, che pubblicizzano le creme anti-age di L’Oréal, a Charlotte Rampling, testimonial di Nars. E poi Isabella Rossellini, richiamata da Lancôme che l’aveva “rottamata” agli inizi degli anni 90 poiché, a 40 anni, era considerata troppo vecchia. Anche nella moda qualcosa sta cambiando.

Così Benedetta Barzini è la protagonista della campagna di Rodo, Marina Cicogna compare in quella di Gucci e Lauren Hutton sfila per Bottega Veneta a fianco di Gigi Hadid. Allo stesso modo gli influencer in là con gli anni spopolano su Instagram. Personaggi come Helen Ruth Van Winkle, aka Baddywinkle, e Sarah Jane Adams, aka saramaijewels, con milioni di follower su un social, in cui oltre la metà degli utenti ha meno di 35 anni. Senza dimenticare Sciuragram, l’account IG che celebra le signore (sciure, in milanese) agée.

Se però dalla comunicazione passiamo all’offerta, il panorama non è altrettanto ricco. Esclusi gli ambiti tradizionalmente rivolte agli over (come l’healthcare), i prodotti ad hoc per loro sono pochi. Le aziende - come afferma Nicola Palmarini nel libro “Immortali. Economia per nuovi highlander” (vedi sotto) – sembrano non rendersi conto che questa fascia demografica “non ha solo bisogno di sanità o sicurezza, ma desidera divertirsi, consumare, apparire, viaggiare. In altre parole, vivere”. Un peccato e un’opportunità di business perduta. Sì, perché i baby-boomers spendono per la cura di sé (si può trattare del filler per il viso, dell’abbonamento in palestra o di un trattamento nella spa) e per le proprie passioni (i viaggi, l’attività fisica, l’enogastronomia).

Prendiamo, per esempio, le vacanze. Gli over 65 che, nell’estate di quest’anno, si concedono una vacanza sono 7,5 milioni, vale a dire mezzo milione in più del 2014. Solo nel periodo giugno-settembre il turismo d’argento, come è stato ribattezzato, genera un giro d’affari pari 5,8 miliardi di euro (fonte: Swg per Fipac Confesercenti). Soldi che vengono spesi soprattutto in Italia, visto che il 74% opta per una località nostrana. E allora perché non pensare a un’offerta silver friendly che coinvolga tanto le strutture ricettive quanto quelle ricreative? Non sarebbe ora di andare oltre allo stereotipo del “nonno” che passa le sue vacanze alle terme o passeggiando con aria mesta sul lungomare di qualche località balneare?

Lo stesso discorso vale per lo sport. Complice la diffusione di nuovi stili di vita, gli over 65 hanno via via ridotto i comportamenti sedentari. Così se nel 2008 la quota degli older che praticava regolarmente attività fisica si attestava intorno all’8%, oggi supera il 12%, con un picco nella fascia dei giovani anziani, che hanno tra 65 e 69 anni (fonte Istat). Tuttavia i player del settore (le palestre ma anche le società che producono abbigliamento e accessori per lo sport) non si sono (ancora) accorti di loro.


Immortali. Economia per nuovi highlander

Un paese di anziani o, addirittura, di immortali. Non è l’idea alla base di una nuova serie di Netflix ma ciò che potrebbe divenire l’Italia nei prossimi decenni. Lo racconta, con il supporto di dati e numeri, Nicola Palmarini in Immortali. Economia per nuovi highlander (Egea).

Un libro che affronta uno dei temi a lungo rimossi dal dibattito contemporaneo: che cosa significa invecchiare. E lo fa senza cadere in stereotipi in un senso (per intenderci: invecchiare non ci rende necessariamente più saggi) né nell’altro (la vecchiaia non è per forza sinonimo di disabilità e malattia). Al contrario, evidenzia in maniera lucida quali sono le conseguenze del fenomeno per la società e per le aziende. Non solo, come prevedibile, le imprese che operano nel settore della sanità e dei servizi alla persona ma anche quelle attive nel food, nel turismo o nel comparto delle attività per il tempo libero.


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