
Come presenterebbe brevemente il suo libro? Di cosa parla?
"L’Ora di Pace" è la storia di una chiamata. Rinchiusi in una sala
d’aspetto con un ficus parlante, alcuni sconosciuti attendono di
incontrare il dottor Pace, misterioso ospite che li ha convocati senza
precisare il motivo. Fra loro Ottavio Bozzetto, insegnante depresso di
diritto da tempo in cura da un neurologo, il dottor Finis. In un
alternarsi di timori e supposizioni, i presenti si confrontano sulle
presunte ragioni dell’appuntamento: un colloquio di lavoro, una
consulenza legale, la partecipazione a un reality o, come crede
Ottavio, un consulto medico presso un collega del dottor Finis. Il
tempo però trascorre, nulla accade e ciascuno inizia a dubitare della
propria ipotesi. Quando finalmente hanno inizio i colloqui, solo in
tre saranno ammessi nello studio di Pace. Ma questi, bizzoso alter ego
che muta identità a seconda di chi gli sta di fronte, si trasforma di
volta in volta in medico, avvocato o giustiziere, in una sorta di
interrogatorio della coscienza in cui il protagonista apprenderà
gradualmente la causa della chiamata: è accusato di aver ucciso se
stesso ed è pertanto condannato a vivere.
Qual è l’esigenza che ha sentito come scrittore? Da cosa nasce o cosa vuole comunicare il libro che ha candidato al Premio Neri Pozza?
Ho voluto raccontare l’immobilità del tempo non vissuto, che
tuttavia è illusoria: infatti mentre noi stiamo fermi, quel che
abbiamo intorno in genere si muove. Il romanzo oscilla fra sogno e
realtà; come l’esistenza dei personaggi che vengono convocati, tutti
in vario modo inadatti alla vita. Il tema è quindi quello
dell’inettitudine, che si traduce in un’attesa priva di desideri,
eppure colma di speranza. Ottavio, il protagonista, vive in una stasi
inquieta. Ma anche gli altri sono intrappolati in una sospensione che
li tiene in bilico fra la vita e la morte, intese come luoghi dello
spirito. Tutti aspirano, in diverse forme, alla pace; la pace però non
è inerte tranquillità: è movimento interiore verso se stessi, che
infine produce azione. Un moto lieve, ma perpetuo, che impedisce di
scivolare nel sonno dell’anima.
La situazione attuale nel mondo e in Italia è complessa a livello economico e sociale; il suo libro può dare spunti di riflessione per il presente e per il futuro? Quali?
La crisi collettiva che stiamo attraversando è anche crisi del
singolo, che ha smarrito il senso della propria identità; e chi non è
nulla di per se stesso, può diventare qualsiasi cosa: come l’acqua,
prende la forma del contenitore in cui è imprigionato. Ogni crisi,
tuttavia, può condurre alla distruzione oppure a una rinascita. Il
romanzo è la parabola di un uomo che comincia a vivere quando scopre
di essere morto. Come il protagonista, solo una società che accetti la
propria fine può ancora salvarsi grazie a un nuovo inizio.
AstraRicerche ha svolto una indagine per Neri Pozza e ha mostrato che i lettori possono cercare svago/evasione, emozione, confronto con idee e ‘mondi’ differenti, conoscenza (del passato, del presente…); il suo libro risponde – in particolare – a una di queste "domande" dei lettori? O a una ulteriore?
Forse risponde a una domanda di conoscenza: l’occhio è rivolto
verso l’interno, perché per capire quel che si vede spesso occorre
guardare a quel che non si vede. Ho cercato di condurre questa
“indagine” interiore con ironia, la lente attraverso la quale osservo
le cose. Ho riso, scrivendo questo libro; mi auguro che altri possano
ridere a leggerlo.
Sempre secondo l’indagine, per i lettori leggere è sia un piacere che un dovere (verso sé stessi, verso la comunità); cosa è, invece, scrivere per lei? In fondo, perché lei scrive?
Scrivo perché è il mio modo di cogliere l’essenza attraverso il
dettaglio, l’universale nel particolare. E poi, suppongo, per gli
stessi motivi che mi inducono a leggere: per vivere altre vite e
comprendere la mia, e per completare un atto di dolore, riuscendo a
sorridere di ciò che mi fa piangere. In fondo scrivo perché è qualcosa
a cui non so rinunciare.
I libri finalisti non sono ancora pubblicati, lo sarà in seguito quello che vincerà il Premio Neri Pozza e forse gli altri.
Piera Rampino si è laureata in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Trento. Ha lavorato per alcuni anni per l’Accademia europea di Bolzano (Eurac) nel settore della ricerca linguistica applicata al diritto e dal 2010 lavora presso la Provincia autonoma di Bolzano. Nel 2015 si è qualificata fra i semifinalisti della quarta edizione del Premio letterario La Giara.
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