
Come presenterebbe brevemente il suo libro?
"Schikaneder e il labirinto" è una storia sulle storie e sugli amici che ci mancano.
Di cosa parla?
Vienna, 1798: sono passati sette anni dalla morte di Mozart. Emanuel Schikaneder, direttore del teatro in cui fu rappresentato Il Flauto Magico e amico del compositore, decide di mettere in scena un seguito dell'opera. Il progetto suscita grande entusiasmo tra i cantanti della compagnia, affezionati alla storia, ai personaggi e soprattutto a Wolfgang. Ma Wolfgang non c’è più, e così Schikaneder si ritrova a ingaggiare un certo Peter Winter, un compositore dotato di buona tecnica ma arrogante e spigoloso, oltreché –ovviamente- incapace di reggere il confronto con Mozart. Schikaneder e i suoi cantanti si ritrovano così intrappolati tra la nostalgia per il passato e la difficoltà di gestire il presente: hanno sempre dato per scontato che il loro teatro fosse un posto affiatato e spensierato, ma adesso gli equilibri cominciano a vacillare, e sarà impossibile salvarli senza mettersi in discussione.
Quale è l’esigenza che ha sentito come scrittore?
Prima di tutto quella di esorcizzare il mio narratore mentale, ovvero l'omino che sta seduto in un angolo del nostro cervello e pretende di cucire la narrativa addosso alla realtà. Ho finito per esorcizzarlo così tanto da trasformarlo nel protagonista di un romanzo. Più in generale, il libro nasce dal bisogno di elaborare situazioni, riflessioni e discussioni legate al mio periodo di studio all'estero.
Da cosa nasce o cosa vuole comunicare il libro che ha candidato al Premio Neri Pozza?
Per me il romanzo parla della nostra fame di storie, del loro potere e dei loro rischi; parla di tutte quelle volte che vogliamo dimostrare qualcosa agli assenti, di nostalgia, di amicizia, della necessità di conoscere e venire a patti con le parti oscure di noi stessi.
La situazione attuale nel mondo e in Italia è complessa a livello economico e sociale; il suo libro può dare spunti di riflessione per il presente e per il futuro? Quali?
In linea di massima no, è un romanzo ambientato nel passato che si concentra su temi molto intimisti. In alcuni passi, comunque, mi sono ritrovata sfiorare delle questioni che mi stanno a cuore: l'autodeterminazione femminile, i momenti storici in cui ideali di fratellanza e cosmopolitismo vengono barattati con l'illusione della sicurezza.
AstraRicerche ha svolto un'indagine per Neri Pozza e ha mostrato che i lettori possono cercare svago/evasione, emozione, confronto con idee e ‘mondi’ differenti, conoscenza (del passato, del presente, …); il suo libro risponde – in particolare – a una di queste ‘domande’ dei lettori? O a una ulteriore?
Mi piacerebbe che potesse rispondere un po' a tutte, ho cercato di scrivere una storia che fosse aperta a più livelli di lettura.
Sempre secondo l’indagine, per i lettori leggere è sia un piacere che un dovere (verso sé stessi, verso la comunità); cosa è, invece, scrivere per lei? In fondo, perché lei scrive?
Perché mi piace. Mi diverte, mi appassiona ed è il mezzo con cui riesco a esprimermi meglio.
I libri finalisti non sono ancora pubblicati, lo sarà in seguito quello che vincerà il Premio Neri Pozza e forse gli altri.
Benedetta Galli è nata nel 1993 in provincia di Firenze. Ha studiato Ingegneria al Politecnico di Milano e a TU Delft, e attualmente lavora in Lombardia in un’azienda di ambito energetico.
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