
Come presenterebbe brevemente il suo libro? Di cosa parla?
“Le cose da salvare” racconta di un uomo che si rifiuta di abbandonare la sua casa dopo il tragico crollo di un ponte nel suo quartiere, rischiando quindi la vita pur di rimanere tra quelle mura, e della giovane giornalista che si ritrova a raccogliere la sua storia. La grande e problematica domanda che accomuna le loro esistenze è dichiarata fin dal titolo: quali sono le cose da salvare nella vita quando siamo chiamati a scegliere, quali oggetti, quali ricordi, quali progetti e quali fallimenti hanno contato veramente, che cosa ci ha determinati come persone e perché, in che modo si può mettere tutto questo in salvo, e se questa salvezza ha che fare con l’abitudine alla fuga o con l’attitudine al restare.
Quale è l’esigenza che ha sentito come scrittore? Da cosa nasce o cosa vuole comunicare il libro che ha candidato al Premio Neri Pozza?
Questo romanzo è stato scritto dopo il crollo del ponte Morandi a Genova e questo evento è difatti l’innesco del racconto. Ma la mia esigenza era quella di intercettare alcune domande, che credo urgenti e umanissime, e lasciarle diventare una storia: e cioè quali fatti o persone finiscono col determinarci profondamente nel carattere e nelle scelte, perché alcuni oggetti ci parlano, perché alcuni luoghi, di colpo, smettono di farlo e come possiamo capire cosa e chi salvare se tutto crolla e nemmeno i ponti sono più connessioni funzionanti. Il romanzo vuole amplificare queste domande, metterle a fuoco.
La situazione attuale nel mondo e in Italia è complessa a livello economico e sociale; il suo libro può dare spunti di riflessione per il presente e per il futuro? Quali?
Il mio romanzo tocca temi molto attuali: il crollo di una grande opera nel cuore di una città, l’emigrazione e l’immigrazione, la strumentalizzazione politica delle tragedie. La riflessione su quali siano “le cose da salvare” attraversa una narrazione estremamente vicina a fatti reali, all’Italia per come la conosciamo, e conto che i miei personaggi possano porre la stessa questione ai lettori: cosa possiamo e dobbiamo salvare, oggi? Cosa potremo e dovremo salvare, domani?
AstraRicerche ha svolto un'indagine per Neri Pozza e ha mostrato che i lettori possono cercare svago/evasione, emozione, confronto con idee e ‘mondi’ differenti, conoscenza (del passato, del presente…); il suo libro risponde – in particolare – a una di queste "domande" dei lettori? O a una ulteriore?
Credo che il mio romanzo proponga in primis una storia incalzante di cui si vuole conoscere il finale, e quindi certo può rispondere a una domanda di emozione e di suspance. I contenuti trattati, d’altro canto, come gli eventi di cronaca prima menzionati e temi come emigrazione e immigrazione, non possono non indurre alla riflessione sull’attualità e al confronto di idee nel merito.
Sempre secondo l’indagine, per i lettori leggere è sia un piacere che un dovere (verso sé stessi, verso la comunità); cosa è, invece, scrivere per lei? In fondo, perché lei scrive?
Per me la scrittura comincia sempre da una domanda, e l’immaginazione è il linguaggio che mi permette di esplorarla: è così fin da quando ero bambina, le parole mi davano il coraggio di precisare inquietudini, desideri, assenze. Oggi la mia scrittura è diventata anche interlocuzione: m’interessa la reazione, la riflessione generata da quel che racconto. Scrivere rimane per me l’espressione di un’ipersensibilità che si esercita su dettagli che molti trascurano: è un piacere, allo stesso tempo una necessità, può conferire realtà a molte cose e per questo mi è indispensabile.
I libri finalisti non sono ancora pubblicati, lo sarà in seguito quello che vincerà il Premio Neri Pozza e forse gli altri.
Ilaria Rossetti è nata nel 1987. Ha vinto il Premio Campiello Giovani 2007 con il racconto La leggerezza del rumore (Marsilio Editore). Con Giulio Perrone Editore ha pubblicato Tu che te ne andrai ovunque (2009) e Happy Italy (2011).
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